giovedì 28 novembre 2013

QUANDO I BAMBINI FANNO OH (senticheppuzzascappanoancheicani...)


Quando i bambini fanno "oh". Che meraviglia. Me le sono sognate stanotte, le creature juventine. Sarà che son stato a Torino 'sti giorni, affogando nell'invidia per una vivibilità sociale che da noi, in una Napoli allegramente moribonda, continuano a spacciare per tristezza. Me li sono sognati tutti, dicevo, i tifosi juniores che domenica riempiranno le curve squalificate per il razzismo dei loro genitori. Quelli buoni in quanto bimbi, pronti a supplire per definizione il vuoto lasciato dagli animi corrotti degli adulti. Ne ho ascoltato l'eco, le voci bianche (e nere) che d'un tratto a partita iniziata cominciano a cantarcela, a tutti: "Napoli colera, siete la vergogna dell'Italia intera". Minori impuniti, impunibili in quanto minori. Magari per iniziativa dei cattivi maestri, emigranti del sud, che prendono la palla al balzo (su cross della Figc, assist di Tuttosport) e catechizzano i teneri virgulti: "Guagliù, domenica li prendiamo tutti per il culo". Perché va bene tutto, ma i bambini non si toccano, tantomeno si azzardi il marketing della nuova retorica pallonara. Sì, quella che prima ha provato (con grandi mezzi mediatici) a far passare la traduzione di "colerosi" in sfottó tagliato a sottili strisce di ironia. E che poi, a squalifica implacabile, ha provato a sintetizzare la merda nel laboratorio posticcio del potere. Riuscendoci alla perfezione, anche grazie alla sponda del napoletano puzzolente (lui sì) che si copre della merda di cui sopra con la grazia del coglione professionista.
Ebbene, un solo grido un solo allarme: in curva ci sono i bambini, e i bambini cantano la discriminazione territoriale come i grandi. I have a fucking dream.
Pensa che bello. Migliaia di bambini ribelli, che urlano la sconfessione della ribollita morale. Un coro con effetto ribalta. Mica la finta ironia dei "nostri" ultras che replicarono anche in curva B i canti del razzismo autoinflitto. Mica quel maldestro tentativo di coprire il sudiciume di interessi "mafiosi" con la storia del libero tifo in libero stadio. La chiusura del cerchio sarebbe, altroché. Perché dopo i bambini non c'é più nulla. Armi finite, maschere a terra, mani in alto, ognuno a fare i conti con le proprie vergogne. C'è, al massimo, l'utopia di una società illuminata che rinneghi i suoi stessi tifosi, e che paghi le loro colpe dicendolo forte e chiaro: gente che canta robe così fa schifo. Chiudendo la sua curva di sua spontanea volontà, senza imposizioni dall'alto. Magari sol perché quella curva si chiama "Scirea". Per rispetto. Un sogno, appunto.

martedì 26 novembre 2013

O' CATENACCIO

Ora, fatemi il piacere, in Europa dimenticate di essere "europei". Per una sera scordatevi o' tik tak, sta frenesia di fare il Barcellona ad ogni costo. Lasciate a Napoli l'ansia del bel gioco, ve lo do io lo schema per il Borussia: 8-1-1. Magari un paio di lezioni fatevele dare dalle cheerleaders, vi mettete l'un sull'altro, una difesa a castello sulla linea di porta. Voglio una barriera senza vanità, pura essenza di cazzimma. Voglio il catenaccio. E lo voglio brutto. E lo voglio orgoglioso, ostentato. Voglio dire alla Champions: "Andiamo a Dortmund per lo zero a zero". Senza giri di parole, senza giri di palla. Si può soffrire, come ai bei tempi. C'è tutta un'epica del fango e del sangue, forse anche più nobile dei merletti tanto di moda di 'sti tempi. Non c'è niente di male a snaturarsi, all'evenienza. Anzi, lo impone la maturità. La saggezza di saper riconoscere il momento del ridimensionamento, adattarsi per sopravvivere. Si evita il cortocircuito: fare i belli quando non serve puzza di boria da pezzente sagliuto. E invece questa qualificazione è già meritata, già guadagnata, è nostra.  Tocca solo sporcarsi, una volta ancora, una volta di più. Non ho voglia di uscire a testa alta. Ho voglia di entrare a testa bassa. E di restarci, in Europa. Senza fare troppo gli "europei".

mercoledì 12 giugno 2013

NAPOLI CHIUSA PER ALBERI

Chiuso per alberi. La grande vendetta è cominciata. Fottuto verde pubblico, la pagherai cara. L'ombra incombe dall'alto, e ora vale come avvertimento: la frescura è la faccia sorridente di un mostro che sta per abbattersi sulla vostra testa. Per cui segnatevelo: l'unico che pagherà la tragedia di via Aniello Falcone è il solito indifeso albero cittadino.
Hanno già cominciato, sull'onda dell'indignazione ad ore: se ieri ai giardinetti di via Ruoppolo, al Vomero, i vecchiarielli giocavano a bocce, oggi no: c'è il pino assassino, si transenna. Pericolo. Poche ore fa non c'era, ora sí. Deve trattarsi della traduzione partenopea dell'effetto farfalla, della "dipendenza sensibile alle condizioni iniziali" applicata alla cronaca, visto che a Napoli la teoria del caos si fa pratica quotidiana.
E così da anni i viali alberati che una volta sancivano l'estetica della borghesia vomerese vengono falciati a capocchia da ditte di boscaioli improvvisati. Senza scienza, senza modi, senza tempi. La potatura dei platani a motosega, fuori stagione tagliando per tagliare. E cosí dobbiamo tenerci la sconsiderata autopromozione di @demagistris che su Twitter si va atteggiando con #openFloridiana, quando la Floridiana è drammaticamente chiusa da mesi, se si escludono il viale centrale ed il prato davanti al museo. E cosí si preferisce sbarrare le strade piuttosto che assicurare la stabilità delle piante, possibilmente senza ucciderle. E cosí imbottiamo di cemento i piccoli parchetti di zona (ove sopravvivono) nella vana speranza che gli arzigogoli architettonici reggano l'incuria meglio dei prati non innaffiati, dei cespugli nel degrado, della sporcizia generalizzata. E cosí negli anni della grande epidemia da punteruolo rosso, si sceglieva inopinatamente di continuare a piantare le palme (tra l'altro l'albero meno ombroso del pianeta), per poi goderci di lí a pochi mesi lo squallore di quei cadaveri lasciati a marcire in pubblica piazza. E cosí la Villa Comunale, pur ristrutturata, passata la primavera, si trasforma in una polveriera desertica ai primi caldi. E cosí il parco di Capodimonte - l'unico parco di "statura" europea di questa città - riesce a malapena a nascondere nella sua magnificenza l'abbandono delle sue parti meno nobili. Una violenza per chi ha qualche parametro di paragone e s'incupisce nell'immaginarsi cosa potrebbe essere davvero cotanta meraviglia.
La verità è che non c'è verso di risvoltare, nemmeno in extremis, l'ennesimo panno sporco d'emergenza in una pezza al miglioramento civile. No, si fa sempre alla napoletana. E a Napoli se cade un albero e muore una persona, si chiudono gli alberi, magari si abbattono. Non si mettono in sicurezza, no. Perchè vale la giustificazione universale, che tutto assolve e tutto ingoia: non ci sono soldi. I soldi, quelli veri, sono destinati allo spreco, per appalto ormai divino. I fondi per la natura pubblica sono quelli del barile raschiato ad esaurimento. Perció l'abbandono è l'unica strada percorribile. Se fa vittime, beh, quello è un danno collaterale. Tanto non c'è colpa, non c'è responsabilità, mai. Si accerta, si perdona, si condona. E
tutto avanti come prima, più di prima.
Non facciamo i fatalisti, ma era già tutto scritto. Sulle facce degli ex lsu riciclati a branchi come guardiani manutentori dei parchi cittadini. Ché per curare i giardini non servono i giardinieri, bastano i disoccupati, possibilmente a decine, possibilmente trastullanti nel dolce far niente. Badate che non è un dettaglio, è l'anello rivelatore dell'andazzo generale, della infinita catena di malfunzionamenti che rende la nostra vita di napoletani impossibile. È un cane idiota che si morde la coda. Il pino è caduto, ha ucciso. Che doveva fare di piú? Ma a noi non basta: siamo cosí scemi che nemmeno con uno schiaffo cosí pesante ci svegliamo. Si transenna, si chiude. Il solito. Tanto i soldi non ci sono. Non lo sentite il tanfo dell'autoindulgenza?

martedì 11 giugno 2013

TUTTO

Umberto ha due anni e mezzo e parla un sacco. Stasera ha preso la sua valigetta di latta, ha saluto - "ao ao" - e ha fatto per uscire dalla stanza.
- Dove vai Umberto?
- Bobo va a lavoro
- ah, e che lavoro fai?
- tutto.

Tutto.
E ora chi glielo dice che suo papà a 35 anni è gia - ancora - nella fase del "niente"...

sabato 8 giugno 2013

FINALMENTE IN UNA GRANDE SQUADRA

Fategli ciao ciao con la manina, magari indicando psichiatricamente l'orologio ché il suo tempo napoletano è scaduto. Walter Mazzarri è arrivato dove voleva, "finalmente in una grande squadra" come da introduzione di conferenza stampa firmata SkySport24. Pur senza Champions, pur senza coppe. Il blasone glielo si legge nel sorriso rubizzo, nell'imbarazzo dell'amore fresco di giornata. Una roba che non ci riguarda piú, che solo a scriverne si fa la certa figura dell'ex tradito. E invece no. "Tradimento" è la parola che Mazzarri non vuol sentire, perché lo ribadisce: "Lasciare Napoli è stata una scelta a parte, già maturata all'inizio dell'anno scorso quando rifiutai il rinnovo per mancanza di stimoli". Lo stimolo è la novità. L'attesa occasione di risollevare una grande fallita dalle ceneri, di imporsi una volta e per tutte come il protagonista dell'impresa, miracolista di professione. E di farlo libero dai legacci del fairplay finanziario di De Laurentiis. C'è qualcuno lí fuori che s'è fatto arrotolare dalla retorica del pallone, in questi mesi. Rispettando le bugie di prassi, i copioni da telenovela brasiliana: "Non parlo, non dico, non so, domani giochiamo contro il Siena che è la partita della vita". Ma quel paventano anno sabatico ristrettosi poi in un weekend con le offerte pronte sul tavolo no, non ce lo siamo mai bevuti. 
Vogliamo ricordarlo cosí, Mazzarri, con il sorriso alla prima domanda milanese, che gli ricorda una carriera senza esoneri. Maremma, cosa non si sarebbe grattato. Ma è lí compunto nell'abito su misura cucitogli per la festa, e risponde con buona pace al party di benvenuto della stampa. Comincia con un suo cavallo di battaglia: "Non sta a me dirlo". E poi lo dice, ovvio: "Sono considerato un tattico", qualora qualcuno avesse dimenticato il tanto caro (suo) parallelo con Guardiola. "Sono un po' accentratore, uno di personalità, mi piace assumermi tutte le responsabilità". E noi che ormai ci alleniamo ad un futuro di risposte in spagnolo, non possiamo che ascoltare ammiccando, vorremmo tendergli una mano d'intesa: "Lo sappiamo, Walter, ti conosciamo, va bene cosí". Sappiamo che non parli mai degli arbitri, non c'è bisogno di... "Non 
parlo mai degli arbitri", ecco appunto, mo lo sanno pure a Milano. Perdonateci la lettura sbilenca, ma da queste parti di come giocherà Kovacic, o del prolungamento del ritiro a Pinzolo, non ce ne puó fregar di meno. Qui stiamo elaborando la fine di una storia di passione ed antipatia, densa come il Das. Potremmo continuare a biasimare la sua comunicazione fallimentare, la sua protervia a volte insopportabile, quel suo ego che fa provincia in tutti i sensi possibili. E invece no, qui restano i risultati. La ciccia, la sostanza. Sai che c'è? Il "tattico" che dribbla la domanda su Mourinho con "un allenatore è come un artista", quando tutto il suo calcio trasuda pane e salame, ve lo lasciamo volentieri. Quello che resiste appena un quarto d'ora prima di passare alla terza persona singolare, non ci mancherà per niente. Magari, ecco, eviteremmo a Moratti lo spreco di comprargli giovani talenti da far "maturare" in panchina come dei caciocavalli. Ma non son piú problemi nostri. Fossimo tifosi nerazzurri al primo accesso nel fantastico mondo di Mazzarrinter ci avrebbe già convinti: concetti chiari, allenamenti, fatica, resistenza, volontà, sacrificio. Niente aria fritta, niente vanvera: questo è il suo curriculum certificato. È perció che con questo pezzo, da Napoli, è tutto. Come lui stesso dice: "In ogni matrimonio c'è un inizio ed una fine". Divorzio, consensuale.

mercoledì 5 giugno 2013

L'UOMO CHE TWITTAVA PIPPIANDO

#AskADL, che quello, il presidente, finisce che ti risponde. A te, fortunato tifoso del Napoli. Proprio a te, che non hai seggiole in conferenza stampa e 30 righe sul giornale di domani. Mettici il cancelletto, che mo si porta un sacco, c'è la tweet-conferenza di De Laurentiis alla domenica pomeriggio. Per darci di braccetto e fare i fighi, comunicatori 2.0 col presidente piú online di tutti. Talmente UNO DI NOI che twitta mentre fa pippiare il ragú. È normale che poi qualche "h" in eccesso ti scappa, tipo "Marekiaro ha capito che ha Napoli c'é il mare più bello del mondo e lui ci vuole nuotare a lungo". Meno male che noi "Ha" Napoli non ci facciamo caso ai refusi, e badiamo alla sostanza. Quella peró si traduce nel solito nuvolone di fuffa polverosa. Mica v'aspettavate chissà quale rivelazione, eh? E dunque, prima e unica notizia: "La conferenza di Benitez sarà venerdì 21 giugno a Castel Volturno", l'allenatore scelto "perché ha vinto molto nella sua storia ed è un monogamo essendo stato a lungo al Liverpool". Ne sarà contenta la moglie, peró i tifosi vogliono sapere di Cavani. Ebbene da oggi sappiamo che "Cavani ha un contratto per altri 4 anni e una clausola di 63 milioni", e che "Abbiamo ricevuto offerte molto più basse della clausola". Mentre noi giornalisti "sssfastidianti" (sic) corriamo a fermare le rotative voi abbiate pazienza, che Bigon sta facendo di conto col pallottoliere in mano: "Bisogna dare il tempo di verificare attentamente che cosa si ha in casa poi guardare fuori cosa comprare". @alexyoobroo ha 14 anni e, giustamente, è preoccupato: "Possiamo sperare in un colpo di mercato che ci faccia pensare allo scudetto? Ma De Laurentiis non ha pietà dell'imberbe entusiasmo: "Lo scudetto non si conquista con un colpo di mercato ma con l'attaccamento alla maglia, un po' di fortuna e con il vostro tifo". Insomma, Alessayoobroo o come ti chiami tu, attaccati a sta maglia, va. Il fatto, signora mia, è che non c'è piú il mercato di una volta, pensate che "Senza FPF ci kdovrebbe essere un corrispondente aumento del fatturato del calcio che permetterebbe di superare i 100mln per il solo mercato". Ma il FPF, cioè il fair play finanziario, ha questo brutto vizio di esistere, e allora niente 100 milioni. Anna Trieste chiede "addo' stann' e sord 'e Lavezzi?", ma questa domanda finisce persa nei buchi della rete. Il Presidente che tutto sa e tutto conosce lavora per noi. Fiducia ci vuole, fiducia. Figurarsi, "che Mazzarri sarebbe andato via l'avevo capito 2 anni fa". A questo qui proprio non gliela si fa, c'ha la palla di vetro e puó andar nel dettaglio: "A chi mi chiede dove vedrò il Napoli tra 2-3 anni: lo vedrò andare di pari passo dove andrà l'evoluzione del mondo del calcio". Ma @robertocanone è un cronista di razza e non molla la presa: "Ha un sogno nel cassetto per questa società?". @ADeLaurentiis non regge la tensione della domanda e alla fine sbrodola: "I sogni sono belli quando non finiscono mai come per il Napoli. Il momento più bello che ho vissuto col Napoli? sono infiniti i momenti bellissimi che ho vissuto nel Napoli per estrapolarne uno soltanto. Per chi mi chiede che film vedo per il Napoli rispondo: un film assolutamente internazionale".
Yawn... Ronf... Fiii... Ronf... 
La sveglia suona quando l'uccellino fischietta un concetto fondamentale: "Il progetto Cheerleaders lo sperimenteremo con l'inizio della nuova stagione". Mo sí! E in che stadio, di grazia? Il San Paolo naturalmente, la cui ristrutturazione "è "in progress" da almeno 4 anni". Sti nuovi materiali invisibili hanno fatto passi da gigante, eh? Sono passati i giorni in cui De Laurentiis maramaldeggiava con il progetto di uno stadio galleggiante nel Golfo.
Dai, facciamo i seri. I tifosi ("che si possono solo amare") vogliono lo scudetto, e lui ci crede "certamente". Perchè è napoletano ca pummarola ncoppe: "Mio nonno era irpino, mio padre di Torre Annunziata. La mia infanzia vicino a Totò, tutti gli ultimi dell'anno passati a Napoli". Di piú: "Il ragù napoletano è il mio piatto preferito, lo sto facendo pippiare mentre parlo con voi". Pure a Los Angeles. Casa De Laurentiis in salsa Hollywoodian-popolare è un'immagine troppo bella per non chiuderci la prima tweet-conferenza del calcio italiano. Andate a scrivere giornalisti, che qua sull'internet si fa la storia. Sempre la solita storia.

martedì 28 maggio 2013

DON RAFFAE'

Don Raffae' a Napoli è una promessa. Una cambiale. Un pagheró. Un assegno in bianco al portatore sano di tifo. Piú del tecnico il nome, piú dell'uomo l'altisonanza del suo curriculum, piú della tattica la pragmatica. Benitez a Napoli è uno sbuffo di sogno che travisa un concetto banalissimo: se uno cosí ha accettato il Napoli, vuol dire che De Laurentiis gli (ci) ha garantito una bella campagna acquisti, investimenti da grande squadra europea, un futuro inedito per questi lidi in cerca di emancipazione.
Non ci vuole mica la ricetta di Ciccirinella, è la fisiologica paura della rivoluzione, il timore di inciampare nel passo piú lungo della gamba, che induce all'ottimismo preventivo ancorché taumaturgico. Via i risultati assicurati da "sua provincia" Mazzarri, serve un orizzonte spalancato ora. Non si vince col freno tirato. Ed ecco allora il grande nome a garanzia dei buoni propositi, a razionale copertura del salto nel vuoto. Benitez, insomma, è ancora un'idea. Un'astrazione. Una velleità. 
C'è poi tutto il resto, al netto della noia di trovarsi in panchina uno di cui si sa praticamente tutto. È il destino di quelli che arrivano già vincenti. Farsi leggenda in itinere. Le 22 ore al giorno di veglia, che tanto Don Raffae' è un robot. Il database da server della Nasa, la sua rete di osservatori che manco la Cia. Il programma per farsi dire dal pc chi sta bene e chi no. Il suo è un pallone dei numeri, leggermente autistico, ma senza le storture da irrigidimento filosofico di Sacchi o di un primo Ancelotti. È un secchione, Don Raffae', con la faccia buona e la cazzimma repressa, col pizzetto o senza. È uno che, preso ingiustamente a paccheri nei primi e unici mesi interisti perse la splendida occasione di dare le dimissioni d'orgoglio, invece di farsi cacciare a mezzo stampa. Aveva appena vinto il Mondiale per club, la competizione perfetta per agghindare la sua personale bacheca col minimo sforzo. Poteva andar via e rinfacciare a Moratti quel comportamento da lavandaia isterica lasciata sull'altare da sua maestà Mourinho. E invece scelse la via dell'esonero ben pagato. Spiega piú il personaggio questa manfrina che tutta la letteratura accumulata negli anni sulle sue abitudini anglo-mediterranee, come anche il talento di finir vincitori pur perdendo.
Del professore che insegna calcio ne son piene le agiografie. I suoi motti hanno l'appeal dell'unghia sinistra di Mou che sbadiglia. E questa cosa denuncia in positivo un'attitudine alla meticolosità del lavoro, all'applicazione trasparente che avrebbe convinto De Laurentiis. E che aveva stancato - a leggere i tabloid - i giocatori del Chelsea. Dell'apparenza, dell'immagine, della simpatia non c'è in verità molto di cui preoccuparsi. Peggio di Mazzarri, nella specialità, difficile fare.
Ma la sostanza, per noi napoletani, è un'anteprima di ciclone che stiamo forse sottovalutando. I numeri da giocare al Lotto ve li hanno già dettati: 4-2-3-1. E non sono numeri sterili. Anzi, sono un romanzo di fantascienza, oggi. La squadra di Mazzarri perde d'un tratto significato, bisogna tradurre per i giocatori un nuovo giro di ruoli, bisogna riempire i buchi che pur ci saranno. Cambiare tutti i meccanismi di difesa, comprando giocatori adatti. Svecchiare. Convincere Hamsik a fare il regista avanzato, che pare - almeno questo - l'ultimo dei problemi. Bisogna trovare un "Cavani", magari proprio l'originale. E una spalla "europea" del suvvirgolettato Cavani. E una riserva che serva, mica un Calaió un tanto al chilo. Bisogna farlo nell'anno della Champions diretta, di partite ogni tre giorni, di obiettivi lievitati. Bisogna darsi pazienza, merce rarissima da queste parti. Farsi bastare una promessa per passare l'estate a giocare col calciomercato. Nelle mani di Bigon e, di conseguenza, di qualche dio che l'assista. Per poi, al dunque, chieder consenso a quell'uomo sceltissimo e immenso di Don Raffae'.

domenica 28 aprile 2013

ANTO' FA FREDDO

Le ho viste, le vedo, le vedrò ancora per un po’: la mamme-cappotto, l’affetto a microonde, le chiocce friggitrici. Imperversano in questo periodo, se ne vedono a branchi. Perché, terminato il famigerato generale inverno napoletano, infilano i loro pargoletti mediterranei in tre strati di abbigliamento tecnico rimettono finalmente la capuzzella all’esterno. Fuori. Aria aperta.Che c’è il sole, e i 25 gradi permettono a questi ultimi baluardi della salutepubblica di affrontare lo shock termico. Giacche, giacchettine, felponi, e ancora le pashmine e i cappellini! Roba che suda pure il cervello, ma non sia mai che ci si possa scoprire prima che spunti maggio, “la creatura prende freddo e s’ammala”. Beh, la notizia sensazionale è che i bambini esistono anche al di là delle Alpi, persino sulle Alpi. E non muoiono in fasce, resistono e in alcuni casi invecchiano, quegli eroi.
Prendiamo la Danimarca, Paese oggettivamente freddo per gran parte dell’anno. I bambini escono. Tutti i giorni. Con la neve, con la pioggia, con ilvento. Escono, perché semplicemente i bambini devono stare all’aria aperta, almeno qualche ora ogni giorno. Non hanno paura perché imparano a non aver paura del clima, e della natura e del mondo. La regola culturale èdisarmante: quando fa caldo fa caldo, quando fa freddo fa freddo. A Copenaghen, a novembre, mentre il sottoscritto Totò e il suo degno sodale Peppino girovagavano abbigliati come Gustav Thoeni a Sapporo 72,potevano ammirare le famiglie che al sabato sera uscivano in bici. A -4 gradi centigradi. Al mattino i parchi ammorbiditi dalla neve eran pieni di bimbi in età prescolare, lasciati liberi di pascolare nel bianco del gelo. Roba che da noi linee di Telefono Azzurro roventi, proprio. E all’asilo, come alle elementari,c’è sempre, quotidianamente, un po’ di tempo da dedicare alle attività all’esterno. Senza, evidentemente, perire. Evidenza pura, disinnescata dalla classica risposta della mamma infagottata: “Vabbé, ma sono abituati”. No, caso mai è che li hanno abituati! I bambini crescono così, e crescono sani e felici, pur in assenza del mito del clima mite. E’ una pratica sociale diffusa, è sanità mentale endemica. Suffragata dai report scientifici. “Con l'arrivo del freddo, mamma e papà hanno paura di lasciare i figli all'aria aperta, perché temono per la loro salute – ammonisce Susanna Esposito presidente dellaSocietà Italiana di Pediatria - In realtà hanno minori possibilità di essere esposti agli agenti infettivi di quante ne hanno se rimangono a lungo al chiuso”.
Funziona così a Copenhagen, provincia di Ovunque. Mentre qui, da noi, scovato per mio figlio un raro asilo con giardino attrezzato all’aperto, mi sonosentito rispondere: “Prima di maggio-giugno i bambini non escono, ecomunque solo con il sole. Non vogliamo che si ammalino”. Avrei voluto rispondere ed argomentare, ma inflaccidito dal caldo sub-equatoriale della nostra primavera ho desistito. Danimarca dreamin.

domenica 31 marzo 2013

MaRIO

I paralleli sono finzioni schematiche per affettare il mondo in porzioni digeribili, in fondo basta accartocciare la cartina per ritrovarseli tutti uniti. Napoli e Rio stanno sulla stessa linea, retta o sinusoidale, in tre o quattro dimensioni. Sono il futuro e il passato vicendevoli, sono la stessa terra emersa a capocchia in due mari diversi. Sono le due dimensioni attraversate da uno specchio che non riflette abbastanza. Sono la bellezza, di quella che puzza e dà fastidio e fa male e ferisce, la bellezza com'è quando la senti. Non la vedi, la senti proprio. 
Stavo a Ipanema quando hanno bruciato la Città della Scienza. A guardare una ragazza che alle 11 di sera di un giorno lavorativo se ne andava su e giú per la ciclabile imparando ad andare sullo skate. La stessa tavola che usano culturisti steroidei o la gente che va a lavorare con la borsa sotto al braccio. Seduto col chopito al chioschetto mentre sullo spiaggione illuminato le panze di quattro ultracinquantenni rimbalzavano sudate giocando a calcio-tennis. Su uno dei millemila campetti pubblici attrezzati. Gratuiti. Perfetti. E quel signore in costume - farà il medico, o il ragioniere uno cosí - corricchiava su questo sconfinato lungomare nato libero e mai liberato da alcunchè. 
Stavo lí a contemplare questa parte luccicante di meraviglia, mentre un amico che lí ci vive da anni mi raccontava della Rio Nord, quella distesa di povertà sudamericana che riassume 8 milioni di persone. E delle mitiche favelas, che ora lo Stato sta "pacificando" entrandoci con l'esercito, piantando bandiera del Brasile e lasciando tutto piú o meno come prima. In infradito, al caldo tropicale, cullato dalla distensione delle ore che qui hanno fisiologicamente altra durata.
Non ve la staró a menare con l'ennesimo reportage sulla città dei luoghi comuni. Sí, ci sono le puttane. Sí, ci sono gli italiani che vengono apposta per andare a puttane. Sí, è una città pericolosa. Sí, non è piú pericolosa di Napoli. No, non cominciamo la gara a quale città è piú pericolosa, che sta storia che tutto il mondo è paese è un'arma a doppio taglio che non mi va di rigirare. Ognuno ha le sue piaghe. Sappiamo tutto, basta leggere, e poi viaggiare, e parlare con la gente, ed aprire gli occhi. Quindi poche chiacchiere. Gli scugnizzi qua li chiamano "randagi", e sono fatti di colla il piú delle volte, e se ti riesce scappa. Veloce. Ma sono bambini, che se non c'hai niente da rubare finisce pure che ci vai a giocare a pallone a Copacabana. E giocano meglio di te. Queste cose le so perchè me le hanno raccontate, in tre giorni non puoi far altro che superficialissimo turismo.
Peró una cosa ve la voglio raccontare io, ha a che fare con noi e non è una roba strana. É il trasporto pubblico urbano in una città da milioni di abitanti, per lo piú poveri. Ecco... non so in che altro modo dirlo: funziona una meraviglia. Ci sono i bus, c'è la metro. E ci sono i taxi (che quasi dappertutto al rosso non si fermano, perchè poi finisce che spunta una pistola e allora è meglio di no). Ma soprattutto ci sono i "collettivi". I mini-van che ti prendono per strada a prezzo fisso (2,5 reais a testa... un euro, tipo) e ti portano piú o meno dove ti pare, se non ti allontani troppo dal tragitto previsto. Basta chiedere, si apre il portellone, ti stringi all'umanità varia che c'è dentro e via. 10-15 persone a ricarico continuo. Ne passa uno ogni trenta secondi, pure di piú. Guidano come dei matti. Sono veloci. Sono democratici. Sono del popolo, a dispetto della burocrazia delle licenze e delle lobby. E sono la loro soluzione ad un nostro problema. Ti verrebbe voglia di twittare sta roba a @demagistris, ove mai uno del suo staff lasciasse perdere un attimo i pensierini rivoluzionari da seconda media. Se il servizio pubblico è fallito e non funziona piú, la città è immobile e la gente non ha lavoro, fai 1+1+1=3 ed ecco fatto: piú trasporti, piú lavoro, si sta tutti un po' meglio. Succede cosí nel resto del mondo, che sia il legalissimo nord Europa o l'incasinato Sudamerica: c'è un problema e si risolve, in un modo o nell'altro, dall'alto o dal basso. Non si sta fermi a ruminare livore e autoassoluzione. 
È la teoria della spiaggia, volendo farne massimo sistema: la spiaggia è la grande piazza di Rio, lo sfogo di una città, si vive di giorno e di notte, alla domenica o al lunedí, in ricchezza e in povertà. È di tutti, è protetta da tutti, tutti la amano e tutti la curano. È il NOI urlato da una collettività con mille problemi camuffati dal sole e dal sorriso. "Questa è gente che sape campà", dice il mio amico. Pure se per campare fa una fatica boia. Vi ricorda qualcosa?
Che a questa cartolina basti cambiar le coordinate per ritrovarci a casa nostra lo sapete meglio di me: la pizza e la picanha, il mandolino e la samba, o' sole e o' mare... rieccoli i nostri amati paralleli. Ma non è il sollazzo nei clichè che aiuta a capire il contesto. Per farla proprio banale: non si tratta di speranza, ma di sperare nella volontà. Se a Rio de Janeiro hanno il bikesharing come a Parigi e a Berlino, e nessuno si fotte le biciclette, qualche domanda - noi - facciamocela. Impariamo la lezione anche da chi non pretende di insegnarcela. Perchè alla fine noi rischiamo di morire bauscia puttanieri, mentre il mondo ci si rovescia addosso. La nostra ultima spiaggia ce la siamo bruciata, a noi che siamo sempre i piú furbi sono rimasti gli scogli.

giovedì 14 marzo 2013

E SE INVECE DEL PAPA NON CE NE FREGASSE NIENTE?

E se invece non ce ne fregasse niente. E se invece la smettessimo di giocare con questa scassata macchina del tempo e finissimo a reggere il peso del presente con un pizzico di consapevole accettazione.  Ha detto buonasera, e gli hanno dato del rivoluzionario. Non vedevano proprio l'ora. Milionate di persone lí fuori che credono in Dio, e, non si sa come, credono nelle istituzioni ecclesiastiche, ma che pur professandone l'assoluto rispetto se ne sentono ingabbiate a tal punto da sperare in una rivoluzione ogni elezione di Papa. Accettano i dogmi della fede cristiana, si proteggono dalle critiche nell'astrazione dell'intimo personale - come se non fossero piani molto diversi - ma poi son tutti lí a guardare un comignolo gorgogliando ad ogni sospiro di presunta modernità. E se invece tranciassimo il nodo della credulità per aprire gli occhi una buona volta?
Pianeta Terra, anno 2013: è in  questa merda che vivete pure voi che soffrite lacerati tra il vostro essere umani e la vostra ricerca di regole imposte. Questo mondo usa il preservativo, e scopa per puro piacere fisico. Lo fa già. Le donne abortiscono, e gli uomini guardano e desiderano le altrui femmine. Le persone si amano senza mai entrare in una chiesa, e si lasciano, e si riprendono. Perchè si amano e punto. E fanno figli, dentro fuori e di lato al matrimonio. A volte sanno trovarsi dei valori condivisibili, tanto da riuscire persino a conviverci. Senza aspettare un uomo eletto da lobby affumicate nelle credenze millenarie, che salga su un balcone a darci il permesso. 
E voi che lo invocate, che auspicate questa strana "rivoluzione" che rimetta la Chiesa in pari, cosa esattamente aspettate? Accettate i sacramenti, le mille elaborazioni artefatte di una dottrina imposta dall'alto, i vicoli che vi stringono la vita rendendovela forse piú ordinata, e poi volete il cambiamento epocale? Non è la comunità cristiana unita - anche - dalla condivisione di recinti beati dove ricondurre appena possibile le pecorelle smarrite? Non dovrebbe essere la vita dei senzaddio quella da indurre al cambiamento? Sono giorni che leggo "lettere al nuovo Papa" o le infinite giravolte intorno al "Papa che vorrei". Ma è un giochino incomprensibile: il concetto di credente fai da te confligge con i pilastri che tengono in piedi la baracca delle istituzioni ecclesiastiche. Quelle - ribadisco - che mezzo mondo ha osannato tramite il simbolo del Papa eletto in conclave. Niente di piú. 
E se allora non ce ne importasse niente della linea morale che il nuovo Papa indicherà? E se anzi la realtà, al netto della sensazione storica del momento, non fosse giá su un altro pianeta? E se invece una volta di piú ci sforzassimo di considerare Jorge Mario Bergoglio, 76 anni da Buenos Aires, un uomo e basta, nato da una mamma e un papà che facevano sesso.

sabato 9 marzo 2013

AQUI NASCEU O FENOMENO

Ma ve l'ho detto che sono andato a Rio scroccando un passaggio ai miei amici dell'Alitalia e che con la navetta dall'aeroporto ho sorvolato il campo dove "aqui nasceu o Fenomeno", e che poi una volta arrivato in albergo, tipo la terza persona che incrocio è o Fenomeno? Roba che uno poi crede alle storie di Topolino, avete presente no? Che andavi in Francia e incontravi Platini, andavi in Argentina e incontravi Maradona, solo per il fatto che loro stanno lí e tu non puoi non incontrarli. 
Ah, e nemmeno vi ho detto che no, Ronaldo due tiri a tennis col sottoscritto non li ha voluti fare, pure se l'ho beccato all'uscita dal campo? Ah, che soddisfazione sarebbe stata, battere il Gordo fu Fenomeno in uno sport random...

martedì 26 febbraio 2013

COSA CI FACCIO ANCORA QUA?

Sia messo a verbale che nel mentre il mio Paese si rimbocca nelle sue coperte di merda croccante, nella mia città le folle improvvise e improvvisate hanno impedito ad un tizio che fu il miglior calciatore di ogni tempo di "recarsi a Scampia dove avrebbe voluto visitare piazza Giovanni Paolo II in onore del Papa". Prima, sia chiaro, di aver richiesto regolare udienza al Presidente della Repubblica.
Che poi i vari concetti (la fragrante cacca elettorale, i tumulti nostalgici del popolo bue, la retorica del peccatore che per omaggiare un Papa morto si reca in una piazza a lui intitolata) siano intesi in qualche modo connessi è sicuramente risulta del mio atteggiamento colpevolmente snob.
Cosa cazzo ci faccio ancora qui è in definitiva la domanda.

lunedì 25 febbraio 2013

SE QUESTO È UN NEGRO

Negro. Pure di merda. Ecco: negro di merda. Fossi di colore e giocassi a pallone davanti a 70.000 persone gradirei essere chamato negro di merda. Cosí almeno avrei la sacrosanta opportunità di mandare tutti affanculo con un gesto plateale (chessó, con un calcio volante alla Cantona, tipo), di fermare la partita, di andare in tv e passare per esempio dell'anti-razzismo popolare, eroe della causa. Invece, dico, di questa rarefatta atmosfera di mancato allarme, e soffuso giubilo politically correct: non hanno fatto "bu" a Balotelli, durante il derby di Milano. Evviva. Peró dalla curva interista gli hanno gonfiato in faccia le banane ad altezza tifoso (a simboleggiare intrinsecamente il connubio cazzone che gonfia un cazzo, diciamo). Gli hanno offeso la mamma, e pure la figlia (sua, non sua... che differenza fa? È un neonato!). Lo hanno fischiato. E sottolineo fischiato, perchè il fischio ad personam senza particolari demeriti scatenanti è stato dipinto alla vigilia come l'arma accettabile per l'offesa al reprobo ex. Cioè: le tifoserie organizzate lo hanno proprio diramato come vademecum, il fischiate ma niente "bu". E i giornali tutti ad applaudire compunti: bravi, che bel clima di sport. A nessuno piú passa per la mente che l'avversario sportivo non debba essere offeso, e punto. Che in teoria si andrebbe allo stadio a sostenere la propria parte, se non addirittura a godersi una competizione e basta. È una idea morta e sepolta, proprio. Per cui, poi, se davvero uno stadio intero ti massacra per un'ora e mezza urlando in coro le peggio cose su mamma e figlia, ma senza mai scadere nel razzismo conclamato, allora va tutto bene. Non si sospende la partita, e la vittima non puó nemmeno protestare come ieri ha fatto Balotelli portando un dito davanti alla bocca guardando la sua ex curva. No: Zanetti lo ha ripreso, Cambiasso pure. Devi stare zitto, sopportare, perchè il "figlio di puttana" è offesa accettabile, fa parte della coreografia sonora. Vieni demolito come uomo, ma non come negro. Che culo, eh?

domenica 24 febbraio 2013

COME A SHAWSHANK

C'è poi sempre la stessa aria di asilo temperato da adulti interessati, e sempre lo stesso presidente di seggio, una zitella emaciata che chissà che lavoro fa tra un'elezione e un'altra. E ci sono i rappresentanti di lista ripuliti, quelli che al mio liceo facevano i fascisti e ora si chiamano Fratelli d'Italia e vanno conciati in stile Tecnocasa. C'è un po' di folla fuori, nessuno dentro. E ci sono le solite domande: "Hai votato bene?". Ecco... Stavolta, pure stavolta, non ho votato bene. Ho votato di merda: il male minore, con una legge elettorale schifosa. Sempre e soltanto un timbro inutile sul certificato, a sancire un voto buttato nel cesso. Mentre s'affollano i Grillini, urne piene di voti di protesta che manderanno al Parlamento tanti cacciuttielli. Quei 25enni capolista che i vecchi volponi del Parlamento aspettano all'entrata scommettendo chi si venderà per primo. Come a Shawshank.