Chiuso per alberi. La grande vendetta è cominciata. Fottuto verde pubblico, la pagherai cara. L'ombra incombe dall'alto, e ora vale come avvertimento: la frescura è la faccia sorridente di un mostro che sta per abbattersi sulla vostra testa. Per cui segnatevelo: l'unico che pagherà la tragedia di via Aniello Falcone è il solito indifeso albero cittadino.
Hanno già cominciato, sull'onda dell'indignazione ad ore: se ieri ai giardinetti di via Ruoppolo, al Vomero, i vecchiarielli giocavano a bocce, oggi no: c'è il pino assassino, si transenna. Pericolo. Poche ore fa non c'era, ora sí. Deve trattarsi della traduzione partenopea dell'effetto farfalla, della "dipendenza sensibile alle condizioni iniziali" applicata alla cronaca, visto che a Napoli la teoria del caos si fa pratica quotidiana.
E così da anni i viali alberati che una volta sancivano l'estetica della borghesia vomerese vengono falciati a capocchia da ditte di boscaioli improvvisati. Senza scienza, senza modi, senza tempi. La potatura dei platani a motosega, fuori stagione tagliando per tagliare. E cosí dobbiamo tenerci la sconsiderata autopromozione di @demagistris che su Twitter si va atteggiando con #openFloridiana, quando la Floridiana è drammaticamente chiusa da mesi, se si escludono il viale centrale ed il prato davanti al museo. E cosí si preferisce sbarrare le strade piuttosto che assicurare la stabilità delle piante, possibilmente senza ucciderle. E cosí imbottiamo di cemento i piccoli parchetti di zona (ove sopravvivono) nella vana speranza che gli arzigogoli architettonici reggano l'incuria meglio dei prati non innaffiati, dei cespugli nel degrado, della sporcizia generalizzata. E cosí negli anni della grande epidemia da punteruolo rosso, si sceglieva inopinatamente di continuare a piantare le palme (tra l'altro l'albero meno ombroso del pianeta), per poi goderci di lí a pochi mesi lo squallore di quei cadaveri lasciati a marcire in pubblica piazza. E cosí la Villa Comunale, pur ristrutturata, passata la primavera, si trasforma in una polveriera desertica ai primi caldi. E cosí il parco di Capodimonte - l'unico parco di "statura" europea di questa città - riesce a malapena a nascondere nella sua magnificenza l'abbandono delle sue parti meno nobili. Una violenza per chi ha qualche parametro di paragone e s'incupisce nell'immaginarsi cosa potrebbe essere davvero cotanta meraviglia.
La verità è che non c'è verso di risvoltare, nemmeno in extremis, l'ennesimo panno sporco d'emergenza in una pezza al miglioramento civile. No, si fa sempre alla napoletana. E a Napoli se cade un albero e muore una persona, si chiudono gli alberi, magari si abbattono. Non si mettono in sicurezza, no. Perchè vale la giustificazione universale, che tutto assolve e tutto ingoia: non ci sono soldi. I soldi, quelli veri, sono destinati allo spreco, per appalto ormai divino. I fondi per la natura pubblica sono quelli del barile raschiato ad esaurimento. Perció l'abbandono è l'unica strada percorribile. Se fa vittime, beh, quello è un danno collaterale. Tanto non c'è colpa, non c'è responsabilità, mai. Si accerta, si perdona, si condona. E
tutto avanti come prima, più di prima.
Non facciamo i fatalisti, ma era già tutto scritto. Sulle facce degli ex lsu riciclati a branchi come guardiani manutentori dei parchi cittadini. Ché per curare i giardini non servono i giardinieri, bastano i disoccupati, possibilmente a decine, possibilmente trastullanti nel dolce far niente. Badate che non è un dettaglio, è l'anello rivelatore dell'andazzo generale, della infinita catena di malfunzionamenti che rende la nostra vita di napoletani impossibile. È un cane idiota che si morde la coda. Il pino è caduto, ha ucciso. Che doveva fare di piú? Ma a noi non basta: siamo cosí scemi che nemmeno con uno schiaffo cosí pesante ci svegliamo. Si transenna, si chiude. Il solito. Tanto i soldi non ci sono. Non lo sentite il tanfo dell'autoindulgenza?
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