martedì 28 maggio 2013

DON RAFFAE'

Don Raffae' a Napoli è una promessa. Una cambiale. Un pagheró. Un assegno in bianco al portatore sano di tifo. Piú del tecnico il nome, piú dell'uomo l'altisonanza del suo curriculum, piú della tattica la pragmatica. Benitez a Napoli è uno sbuffo di sogno che travisa un concetto banalissimo: se uno cosí ha accettato il Napoli, vuol dire che De Laurentiis gli (ci) ha garantito una bella campagna acquisti, investimenti da grande squadra europea, un futuro inedito per questi lidi in cerca di emancipazione.
Non ci vuole mica la ricetta di Ciccirinella, è la fisiologica paura della rivoluzione, il timore di inciampare nel passo piú lungo della gamba, che induce all'ottimismo preventivo ancorché taumaturgico. Via i risultati assicurati da "sua provincia" Mazzarri, serve un orizzonte spalancato ora. Non si vince col freno tirato. Ed ecco allora il grande nome a garanzia dei buoni propositi, a razionale copertura del salto nel vuoto. Benitez, insomma, è ancora un'idea. Un'astrazione. Una velleità. 
C'è poi tutto il resto, al netto della noia di trovarsi in panchina uno di cui si sa praticamente tutto. È il destino di quelli che arrivano già vincenti. Farsi leggenda in itinere. Le 22 ore al giorno di veglia, che tanto Don Raffae' è un robot. Il database da server della Nasa, la sua rete di osservatori che manco la Cia. Il programma per farsi dire dal pc chi sta bene e chi no. Il suo è un pallone dei numeri, leggermente autistico, ma senza le storture da irrigidimento filosofico di Sacchi o di un primo Ancelotti. È un secchione, Don Raffae', con la faccia buona e la cazzimma repressa, col pizzetto o senza. È uno che, preso ingiustamente a paccheri nei primi e unici mesi interisti perse la splendida occasione di dare le dimissioni d'orgoglio, invece di farsi cacciare a mezzo stampa. Aveva appena vinto il Mondiale per club, la competizione perfetta per agghindare la sua personale bacheca col minimo sforzo. Poteva andar via e rinfacciare a Moratti quel comportamento da lavandaia isterica lasciata sull'altare da sua maestà Mourinho. E invece scelse la via dell'esonero ben pagato. Spiega piú il personaggio questa manfrina che tutta la letteratura accumulata negli anni sulle sue abitudini anglo-mediterranee, come anche il talento di finir vincitori pur perdendo.
Del professore che insegna calcio ne son piene le agiografie. I suoi motti hanno l'appeal dell'unghia sinistra di Mou che sbadiglia. E questa cosa denuncia in positivo un'attitudine alla meticolosità del lavoro, all'applicazione trasparente che avrebbe convinto De Laurentiis. E che aveva stancato - a leggere i tabloid - i giocatori del Chelsea. Dell'apparenza, dell'immagine, della simpatia non c'è in verità molto di cui preoccuparsi. Peggio di Mazzarri, nella specialità, difficile fare.
Ma la sostanza, per noi napoletani, è un'anteprima di ciclone che stiamo forse sottovalutando. I numeri da giocare al Lotto ve li hanno già dettati: 4-2-3-1. E non sono numeri sterili. Anzi, sono un romanzo di fantascienza, oggi. La squadra di Mazzarri perde d'un tratto significato, bisogna tradurre per i giocatori un nuovo giro di ruoli, bisogna riempire i buchi che pur ci saranno. Cambiare tutti i meccanismi di difesa, comprando giocatori adatti. Svecchiare. Convincere Hamsik a fare il regista avanzato, che pare - almeno questo - l'ultimo dei problemi. Bisogna trovare un "Cavani", magari proprio l'originale. E una spalla "europea" del suvvirgolettato Cavani. E una riserva che serva, mica un Calaió un tanto al chilo. Bisogna farlo nell'anno della Champions diretta, di partite ogni tre giorni, di obiettivi lievitati. Bisogna darsi pazienza, merce rarissima da queste parti. Farsi bastare una promessa per passare l'estate a giocare col calciomercato. Nelle mani di Bigon e, di conseguenza, di qualche dio che l'assista. Per poi, al dunque, chieder consenso a quell'uomo sceltissimo e immenso di Don Raffae'.

domenica 28 aprile 2013

ANTO' FA FREDDO

Le ho viste, le vedo, le vedrò ancora per un po’: la mamme-cappotto, l’affetto a microonde, le chiocce friggitrici. Imperversano in questo periodo, se ne vedono a branchi. Perché, terminato il famigerato generale inverno napoletano, infilano i loro pargoletti mediterranei in tre strati di abbigliamento tecnico rimettono finalmente la capuzzella all’esterno. Fuori. Aria aperta.Che c’è il sole, e i 25 gradi permettono a questi ultimi baluardi della salutepubblica di affrontare lo shock termico. Giacche, giacchettine, felponi, e ancora le pashmine e i cappellini! Roba che suda pure il cervello, ma non sia mai che ci si possa scoprire prima che spunti maggio, “la creatura prende freddo e s’ammala”. Beh, la notizia sensazionale è che i bambini esistono anche al di là delle Alpi, persino sulle Alpi. E non muoiono in fasce, resistono e in alcuni casi invecchiano, quegli eroi.
Prendiamo la Danimarca, Paese oggettivamente freddo per gran parte dell’anno. I bambini escono. Tutti i giorni. Con la neve, con la pioggia, con ilvento. Escono, perché semplicemente i bambini devono stare all’aria aperta, almeno qualche ora ogni giorno. Non hanno paura perché imparano a non aver paura del clima, e della natura e del mondo. La regola culturale èdisarmante: quando fa caldo fa caldo, quando fa freddo fa freddo. A Copenaghen, a novembre, mentre il sottoscritto Totò e il suo degno sodale Peppino girovagavano abbigliati come Gustav Thoeni a Sapporo 72,potevano ammirare le famiglie che al sabato sera uscivano in bici. A -4 gradi centigradi. Al mattino i parchi ammorbiditi dalla neve eran pieni di bimbi in età prescolare, lasciati liberi di pascolare nel bianco del gelo. Roba che da noi linee di Telefono Azzurro roventi, proprio. E all’asilo, come alle elementari,c’è sempre, quotidianamente, un po’ di tempo da dedicare alle attività all’esterno. Senza, evidentemente, perire. Evidenza pura, disinnescata dalla classica risposta della mamma infagottata: “Vabbé, ma sono abituati”. No, caso mai è che li hanno abituati! I bambini crescono così, e crescono sani e felici, pur in assenza del mito del clima mite. E’ una pratica sociale diffusa, è sanità mentale endemica. Suffragata dai report scientifici. “Con l'arrivo del freddo, mamma e papà hanno paura di lasciare i figli all'aria aperta, perché temono per la loro salute – ammonisce Susanna Esposito presidente dellaSocietà Italiana di Pediatria - In realtà hanno minori possibilità di essere esposti agli agenti infettivi di quante ne hanno se rimangono a lungo al chiuso”.
Funziona così a Copenhagen, provincia di Ovunque. Mentre qui, da noi, scovato per mio figlio un raro asilo con giardino attrezzato all’aperto, mi sonosentito rispondere: “Prima di maggio-giugno i bambini non escono, ecomunque solo con il sole. Non vogliamo che si ammalino”. Avrei voluto rispondere ed argomentare, ma inflaccidito dal caldo sub-equatoriale della nostra primavera ho desistito. Danimarca dreamin.

domenica 31 marzo 2013

MaRIO

I paralleli sono finzioni schematiche per affettare il mondo in porzioni digeribili, in fondo basta accartocciare la cartina per ritrovarseli tutti uniti. Napoli e Rio stanno sulla stessa linea, retta o sinusoidale, in tre o quattro dimensioni. Sono il futuro e il passato vicendevoli, sono la stessa terra emersa a capocchia in due mari diversi. Sono le due dimensioni attraversate da uno specchio che non riflette abbastanza. Sono la bellezza, di quella che puzza e dà fastidio e fa male e ferisce, la bellezza com'è quando la senti. Non la vedi, la senti proprio. 
Stavo a Ipanema quando hanno bruciato la Città della Scienza. A guardare una ragazza che alle 11 di sera di un giorno lavorativo se ne andava su e giú per la ciclabile imparando ad andare sullo skate. La stessa tavola che usano culturisti steroidei o la gente che va a lavorare con la borsa sotto al braccio. Seduto col chopito al chioschetto mentre sullo spiaggione illuminato le panze di quattro ultracinquantenni rimbalzavano sudate giocando a calcio-tennis. Su uno dei millemila campetti pubblici attrezzati. Gratuiti. Perfetti. E quel signore in costume - farà il medico, o il ragioniere uno cosí - corricchiava su questo sconfinato lungomare nato libero e mai liberato da alcunchè. 
Stavo lí a contemplare questa parte luccicante di meraviglia, mentre un amico che lí ci vive da anni mi raccontava della Rio Nord, quella distesa di povertà sudamericana che riassume 8 milioni di persone. E delle mitiche favelas, che ora lo Stato sta "pacificando" entrandoci con l'esercito, piantando bandiera del Brasile e lasciando tutto piú o meno come prima. In infradito, al caldo tropicale, cullato dalla distensione delle ore che qui hanno fisiologicamente altra durata.
Non ve la staró a menare con l'ennesimo reportage sulla città dei luoghi comuni. Sí, ci sono le puttane. Sí, ci sono gli italiani che vengono apposta per andare a puttane. Sí, è una città pericolosa. Sí, non è piú pericolosa di Napoli. No, non cominciamo la gara a quale città è piú pericolosa, che sta storia che tutto il mondo è paese è un'arma a doppio taglio che non mi va di rigirare. Ognuno ha le sue piaghe. Sappiamo tutto, basta leggere, e poi viaggiare, e parlare con la gente, ed aprire gli occhi. Quindi poche chiacchiere. Gli scugnizzi qua li chiamano "randagi", e sono fatti di colla il piú delle volte, e se ti riesce scappa. Veloce. Ma sono bambini, che se non c'hai niente da rubare finisce pure che ci vai a giocare a pallone a Copacabana. E giocano meglio di te. Queste cose le so perchè me le hanno raccontate, in tre giorni non puoi far altro che superficialissimo turismo.
Peró una cosa ve la voglio raccontare io, ha a che fare con noi e non è una roba strana. É il trasporto pubblico urbano in una città da milioni di abitanti, per lo piú poveri. Ecco... non so in che altro modo dirlo: funziona una meraviglia. Ci sono i bus, c'è la metro. E ci sono i taxi (che quasi dappertutto al rosso non si fermano, perchè poi finisce che spunta una pistola e allora è meglio di no). Ma soprattutto ci sono i "collettivi". I mini-van che ti prendono per strada a prezzo fisso (2,5 reais a testa... un euro, tipo) e ti portano piú o meno dove ti pare, se non ti allontani troppo dal tragitto previsto. Basta chiedere, si apre il portellone, ti stringi all'umanità varia che c'è dentro e via. 10-15 persone a ricarico continuo. Ne passa uno ogni trenta secondi, pure di piú. Guidano come dei matti. Sono veloci. Sono democratici. Sono del popolo, a dispetto della burocrazia delle licenze e delle lobby. E sono la loro soluzione ad un nostro problema. Ti verrebbe voglia di twittare sta roba a @demagistris, ove mai uno del suo staff lasciasse perdere un attimo i pensierini rivoluzionari da seconda media. Se il servizio pubblico è fallito e non funziona piú, la città è immobile e la gente non ha lavoro, fai 1+1+1=3 ed ecco fatto: piú trasporti, piú lavoro, si sta tutti un po' meglio. Succede cosí nel resto del mondo, che sia il legalissimo nord Europa o l'incasinato Sudamerica: c'è un problema e si risolve, in un modo o nell'altro, dall'alto o dal basso. Non si sta fermi a ruminare livore e autoassoluzione. 
È la teoria della spiaggia, volendo farne massimo sistema: la spiaggia è la grande piazza di Rio, lo sfogo di una città, si vive di giorno e di notte, alla domenica o al lunedí, in ricchezza e in povertà. È di tutti, è protetta da tutti, tutti la amano e tutti la curano. È il NOI urlato da una collettività con mille problemi camuffati dal sole e dal sorriso. "Questa è gente che sape campà", dice il mio amico. Pure se per campare fa una fatica boia. Vi ricorda qualcosa?
Che a questa cartolina basti cambiar le coordinate per ritrovarci a casa nostra lo sapete meglio di me: la pizza e la picanha, il mandolino e la samba, o' sole e o' mare... rieccoli i nostri amati paralleli. Ma non è il sollazzo nei clichè che aiuta a capire il contesto. Per farla proprio banale: non si tratta di speranza, ma di sperare nella volontà. Se a Rio de Janeiro hanno il bikesharing come a Parigi e a Berlino, e nessuno si fotte le biciclette, qualche domanda - noi - facciamocela. Impariamo la lezione anche da chi non pretende di insegnarcela. Perchè alla fine noi rischiamo di morire bauscia puttanieri, mentre il mondo ci si rovescia addosso. La nostra ultima spiaggia ce la siamo bruciata, a noi che siamo sempre i piú furbi sono rimasti gli scogli.

giovedì 14 marzo 2013

E SE INVECE DEL PAPA NON CE NE FREGASSE NIENTE?

E se invece non ce ne fregasse niente. E se invece la smettessimo di giocare con questa scassata macchina del tempo e finissimo a reggere il peso del presente con un pizzico di consapevole accettazione.  Ha detto buonasera, e gli hanno dato del rivoluzionario. Non vedevano proprio l'ora. Milionate di persone lí fuori che credono in Dio, e, non si sa come, credono nelle istituzioni ecclesiastiche, ma che pur professandone l'assoluto rispetto se ne sentono ingabbiate a tal punto da sperare in una rivoluzione ogni elezione di Papa. Accettano i dogmi della fede cristiana, si proteggono dalle critiche nell'astrazione dell'intimo personale - come se non fossero piani molto diversi - ma poi son tutti lí a guardare un comignolo gorgogliando ad ogni sospiro di presunta modernità. E se invece tranciassimo il nodo della credulità per aprire gli occhi una buona volta?
Pianeta Terra, anno 2013: è in  questa merda che vivete pure voi che soffrite lacerati tra il vostro essere umani e la vostra ricerca di regole imposte. Questo mondo usa il preservativo, e scopa per puro piacere fisico. Lo fa già. Le donne abortiscono, e gli uomini guardano e desiderano le altrui femmine. Le persone si amano senza mai entrare in una chiesa, e si lasciano, e si riprendono. Perchè si amano e punto. E fanno figli, dentro fuori e di lato al matrimonio. A volte sanno trovarsi dei valori condivisibili, tanto da riuscire persino a conviverci. Senza aspettare un uomo eletto da lobby affumicate nelle credenze millenarie, che salga su un balcone a darci il permesso. 
E voi che lo invocate, che auspicate questa strana "rivoluzione" che rimetta la Chiesa in pari, cosa esattamente aspettate? Accettate i sacramenti, le mille elaborazioni artefatte di una dottrina imposta dall'alto, i vicoli che vi stringono la vita rendendovela forse piú ordinata, e poi volete il cambiamento epocale? Non è la comunità cristiana unita - anche - dalla condivisione di recinti beati dove ricondurre appena possibile le pecorelle smarrite? Non dovrebbe essere la vita dei senzaddio quella da indurre al cambiamento? Sono giorni che leggo "lettere al nuovo Papa" o le infinite giravolte intorno al "Papa che vorrei". Ma è un giochino incomprensibile: il concetto di credente fai da te confligge con i pilastri che tengono in piedi la baracca delle istituzioni ecclesiastiche. Quelle - ribadisco - che mezzo mondo ha osannato tramite il simbolo del Papa eletto in conclave. Niente di piú. 
E se allora non ce ne importasse niente della linea morale che il nuovo Papa indicherà? E se anzi la realtà, al netto della sensazione storica del momento, non fosse giá su un altro pianeta? E se invece una volta di piú ci sforzassimo di considerare Jorge Mario Bergoglio, 76 anni da Buenos Aires, un uomo e basta, nato da una mamma e un papà che facevano sesso.

sabato 9 marzo 2013

AQUI NASCEU O FENOMENO

Ma ve l'ho detto che sono andato a Rio scroccando un passaggio ai miei amici dell'Alitalia e che con la navetta dall'aeroporto ho sorvolato il campo dove "aqui nasceu o Fenomeno", e che poi una volta arrivato in albergo, tipo la terza persona che incrocio è o Fenomeno? Roba che uno poi crede alle storie di Topolino, avete presente no? Che andavi in Francia e incontravi Platini, andavi in Argentina e incontravi Maradona, solo per il fatto che loro stanno lí e tu non puoi non incontrarli. 
Ah, e nemmeno vi ho detto che no, Ronaldo due tiri a tennis col sottoscritto non li ha voluti fare, pure se l'ho beccato all'uscita dal campo? Ah, che soddisfazione sarebbe stata, battere il Gordo fu Fenomeno in uno sport random...

martedì 26 febbraio 2013

COSA CI FACCIO ANCORA QUA?

Sia messo a verbale che nel mentre il mio Paese si rimbocca nelle sue coperte di merda croccante, nella mia città le folle improvvise e improvvisate hanno impedito ad un tizio che fu il miglior calciatore di ogni tempo di "recarsi a Scampia dove avrebbe voluto visitare piazza Giovanni Paolo II in onore del Papa". Prima, sia chiaro, di aver richiesto regolare udienza al Presidente della Repubblica.
Che poi i vari concetti (la fragrante cacca elettorale, i tumulti nostalgici del popolo bue, la retorica del peccatore che per omaggiare un Papa morto si reca in una piazza a lui intitolata) siano intesi in qualche modo connessi è sicuramente risulta del mio atteggiamento colpevolmente snob.
Cosa cazzo ci faccio ancora qui è in definitiva la domanda.

lunedì 25 febbraio 2013

SE QUESTO È UN NEGRO

Negro. Pure di merda. Ecco: negro di merda. Fossi di colore e giocassi a pallone davanti a 70.000 persone gradirei essere chamato negro di merda. Cosí almeno avrei la sacrosanta opportunità di mandare tutti affanculo con un gesto plateale (chessó, con un calcio volante alla Cantona, tipo), di fermare la partita, di andare in tv e passare per esempio dell'anti-razzismo popolare, eroe della causa. Invece, dico, di questa rarefatta atmosfera di mancato allarme, e soffuso giubilo politically correct: non hanno fatto "bu" a Balotelli, durante il derby di Milano. Evviva. Peró dalla curva interista gli hanno gonfiato in faccia le banane ad altezza tifoso (a simboleggiare intrinsecamente il connubio cazzone che gonfia un cazzo, diciamo). Gli hanno offeso la mamma, e pure la figlia (sua, non sua... che differenza fa? È un neonato!). Lo hanno fischiato. E sottolineo fischiato, perchè il fischio ad personam senza particolari demeriti scatenanti è stato dipinto alla vigilia come l'arma accettabile per l'offesa al reprobo ex. Cioè: le tifoserie organizzate lo hanno proprio diramato come vademecum, il fischiate ma niente "bu". E i giornali tutti ad applaudire compunti: bravi, che bel clima di sport. A nessuno piú passa per la mente che l'avversario sportivo non debba essere offeso, e punto. Che in teoria si andrebbe allo stadio a sostenere la propria parte, se non addirittura a godersi una competizione e basta. È una idea morta e sepolta, proprio. Per cui, poi, se davvero uno stadio intero ti massacra per un'ora e mezza urlando in coro le peggio cose su mamma e figlia, ma senza mai scadere nel razzismo conclamato, allora va tutto bene. Non si sospende la partita, e la vittima non puó nemmeno protestare come ieri ha fatto Balotelli portando un dito davanti alla bocca guardando la sua ex curva. No: Zanetti lo ha ripreso, Cambiasso pure. Devi stare zitto, sopportare, perchè il "figlio di puttana" è offesa accettabile, fa parte della coreografia sonora. Vieni demolito come uomo, ma non come negro. Che culo, eh?