Zitti. Tutti zitti. Ora, non domenica sera. Facciamo un
minuto di silenzio per la morte della dignità, e facciamoci la croce una volta
di più: viviamo in un posto che deroga al pallone l’elaborazione del lutto
nazionale. Lino Romano, ucciso dalla camorra perché aveva l’auto sbagliata nel
quartiere sbagliato, finisce così: nel ricordo dello stadio San Paolo, 60
secondi prima di Napoli-Chievo, tra “Borghetti chi beve”, una canna, e un po’
di cori contro la Juve. Muore una seconda volta nella formula più pelosa della
retorica italiana: il silenzio che si trasforma in applauso, come ai funerali,
con il rispetto ignorante di chi crede che il silenzio sia troppo poco quando
invece è tutto. Muore ancora di più, perché affidiamo lo sdegno agli abitanti
del San Paolo, che - con tutti i dovuti distinguo del caso – ospita un sacco di
brava gente, ma anche il più puzzolente percolato della città, in una
situazione perfettamente descritta da questo pezzo di Massimiliano Gallo.
Ormai il minuto di silenzio vale come metro dell’insolvenza
morale: si gioca alle 15:01 quasi tutte le domeniche per i più svariati lutti:
i militari caduti in azione, tipo una volta ogni tre mesi, l’atleta morto sul
campo (salvo poi offenderne la memoria un annetto dopo, sempre allo stadio), il
giornalista che stava simpatico a tutti, terremoti e calamità naturali in
genere, nel ricordo dell’allenatore, del massaggiatore, del dirigente, della
mamma del dirigente. E poi c’è il tifoso, ucciso da una città, da un Paese
criminale, e omaggiato da chi di quel sistema fa parte. Ma attenzione: la
qualifica di tifoso è gerarchicamente superiore a tutto, se sei un camorrista
tifoso sei solo un tifoso, che va allo stadio ad omaggiare la vittima-tifoso,
che è solo un tifoso, figurarsi una sua vittima. E’ un’occasione di grazia
morale deflagrante, che innesca per un attimo il sentimento dell’umana pietà ma
poi, un minuto dopo, lo spenge del tutto, lo digerisce come passato è passato
eccetera eccetera. La digestione indigesta di un dramma assurdo. Che è finito
in prima pagina di un quotidiano nazionale
solo perché ce l’ha portato Roberto Saviano. Per caso, insomma. Ma abbandonare
la morte di Lino Romano sul campo di un gioco, ne fa un gioco a sua volta:
troppo facile lasciarlo andar via così. Non vale, non è giusto. Mi fa schifo.