venerdì 26 ottobre 2012

UN MINUTO DI SILENZIO PER UN MINUTO DI SILENZIO



Zitti. Tutti zitti. Ora, non domenica sera. Facciamo un minuto di silenzio per la morte della dignità, e facciamoci la croce una volta di più: viviamo in un posto che deroga al pallone l’elaborazione del lutto nazionale. Lino Romano, ucciso dalla camorra perché aveva l’auto sbagliata nel quartiere sbagliato, finisce così: nel ricordo dello stadio San Paolo, 60 secondi prima di Napoli-Chievo, tra “Borghetti chi beve”, una canna, e un po’ di cori contro la Juve. Muore una seconda volta nella formula più pelosa della retorica italiana: il silenzio che si trasforma in applauso, come ai funerali, con il rispetto ignorante di chi crede che il silenzio sia troppo poco quando invece è tutto. Muore ancora di più, perché affidiamo lo sdegno agli abitanti del San Paolo, che - con tutti i dovuti distinguo del caso – ospita un sacco di brava gente, ma anche il più puzzolente percolato della città, in una situazione perfettamente descritta da questo pezzo di Massimiliano Gallo.
Ormai il minuto di silenzio vale come metro dell’insolvenza morale: si gioca alle 15:01 quasi tutte le domeniche per i più svariati lutti: i militari caduti in azione, tipo una volta ogni tre mesi, l’atleta morto sul campo (salvo poi offenderne la memoria un annetto dopo, sempre allo stadio), il giornalista che stava simpatico a tutti, terremoti e calamità naturali in genere, nel ricordo dell’allenatore, del massaggiatore, del dirigente, della mamma del dirigente. E poi c’è il tifoso, ucciso da una città, da un Paese criminale, e omaggiato da chi di quel sistema fa parte. Ma attenzione: la qualifica di tifoso è gerarchicamente superiore a tutto, se sei un camorrista tifoso sei solo un tifoso, che va allo stadio ad omaggiare la vittima-tifoso, che è solo un tifoso, figurarsi una sua vittima. E’ un’occasione di grazia morale deflagrante, che innesca per un attimo il sentimento dell’umana pietà ma poi, un minuto dopo, lo spenge del tutto, lo digerisce come passato è passato eccetera eccetera. La digestione indigesta di un dramma assurdo. Che è finito in prima pagina di un quotidiano nazionale solo perché ce l’ha portato Roberto Saviano. Per caso, insomma. Ma abbandonare la morte di Lino Romano sul campo di un gioco, ne fa un gioco a sua volta: troppo facile lasciarlo andar via così. Non vale, non è giusto. Mi fa schifo.

E ORA TORNIAMO IN MANO A QUESTA GENTE QUI

Odo gli augelli far festa. Perché, in piena primavera da primarie, fatalmente le elezioni si avvicinano. È la politica che si fa la festa da sola ma non lo sa, aspettando la catarsi del voto a riportare questo pazzo mondo tecnico alla normalità. Il mantra che ascoltate ovunque è: c'è bisogno di una risposta politica, di un ritorno alla politica. A dire il vero a ripeterlo incessantemente sono i politici stessi,  facendo leva sull'ovvio malcontento della gente per le scelte impopolari del governo tecnico. Messo lì, è bene ricordarlo, per fare appunto scelte impopolari. Quelli poi so' bravi e hanno condito il tutto con una bella dose di antipatia, ma questo è un altro discorso. Insomma, così è facile: avete visto come state male? Colpa dei tecnici, ora torniamo noi, i partiti, che siamo la democrazia, eh. E allora sì che tutto andrà per il meglio.

Stacco.

Ieri in Senato erano in discussione gli emendamenti al ddl Sallusti che dovrebbe cambiare le regole della diffamazione a mezzo stampa. Una leggina, nel panorama generale. Eppure eccoli lì tutti ad affannarsi alla battaglia della botteguccia, blaterando di intese come se di intese ce ne fosse fisiologicamente bisogno ogni dannata volta per leggiferare.
Eccola spalancata la finestra su quel che è stato, quel che è, quel che sarà: ci hanno buttato dentro di tutto di più, scavallando la soglia della ragione e del risibile. Persino cavilli sulle ineleggibilità che proprio niente c'entrano con la legge in questione, sperando di farla franca nel nebbione del "si approva" compulsivo. Ad un certo punto, per dire, quando pareva che le cose filassero via in qualche maniera, si sono ritrovati a votare tre emendamenti identici in fila sull'obbligo di rettifica delle testate sul web: non ve la faccio lunga, ma la cosa era da comiche, ogni emendamento cambiava di pochissimo quello precedente con il risultato finale di aver distrutto la ratio complessiva, rimettendo tutto in gioco, di nuovo tutto in rissa.

Ma questo, direte voi (in faccia però, dovete dirmelo in faccia) è il problema di un Parlamento con una maggioranza Pd-Pdl che non deriva dalle urne.
Beh, allora guardiamo una parte sola, il centrosinistra, quelli che - ci scommettono tutti - vinceranno le elezioni. Dopo essersi scornati a lungo sulle regole delle loro primarie (roba che già lì uno vota Grillo per principio, quasi quasi) arrivano alla genialata rivoluzionaria: la registrazione online. E dai su, che siamo nel 2012. E invece no: prima comodamente a casa ti registri online, poi però devi stamparti la ricevuta, devi andare all'ufficio elettorale per ritirare il certificato, e poi con quello vai al gazebo dove si vota. Follia riassunta magnificamente da Makkox così.

Ecco, questa è la politica di cui tutti sentiamo disperatamente il bisogno. I politici salvatori della democrazia sospesa dal governo tecnico. Questa gente qui, con questo livello di incapacità colpevole, e di incuria della cosa pubblica.
Lo dissi prima dell'avvento di Monti e i suoi. Lo ridico adesso che a forza di choosy e cagate annesse si sono fatti odiare quasi come Schettino: se il dopo-Monti è il pre-Monti, Monti tutta la vita.

mercoledì 24 ottobre 2012

CHI CONTROLLA I FACT-CHECKERS?

Interessante l'iniziativa di Factchecking.it, il sito (con il quale ora collabora anche il Corriere della Sera) che si propone di coinvolgere i lettori nella verifica delle notizie pubblicate, di fare le pulci ai giornali, alla caccia di "notizie che non lo erano". Luca Sofri, di questa cosa, è un maestro. E lo stesso Sofri ripropone oggi il problema sfruttando l'esempio della donna nera "bruciata viva" dal Ku Klux Klan che invece s'era data fuoco da sola.
Io faccio un passo avanti: chi controlla i fact-checkers?
Esempio a tema: oggi su tutti i giornali c'è la gaffe di Richard Mourdock, candidato al seggio senatoriale dell'Indiana, che ha definito la gravidanza da stupro come "God's will", volontà di Dio. Su Factchecking.it la notizia è bollata come "affidabilità 0%". Poiché la policy del sito cerca di ispirarne un utilizzo razionale ("fallo in modo responsabile, valutando con attenzione ciò che segnali, utilizzando fonti attendibili e segnalandone eventuali limiti e contro indicazioni"), il passo successivo è capire come fa una dichiarazione pubblica di tale evidenza ad essere totalmente "falsa". Ebbene, il fact-checker del caso cita un pezzo del NYTimes a supporto della seguente motivazione:
"Affermare che Dio vuole qualcosa non significa affermare che ne vuole anche tutte le cause o precondizioni. Per esempio Dio vuole l’Incarnazione ma non vuole il peccato originale. C'è stata una notevole strumentalizzazione delle dichiarazioni di Mourdock"
Questa interpretazione della dichiarazione, nel pezzo originale, è dello stesso Mourdock: “God creates life, and that was my point,” Mr. Mourdock said. “God does not want rape, and by no means was I suggesting that he does.”

Ecco, il punto è: basta un pasticciata rielaborazione filosofica della volontà di Dio per definire una notizia "falsa"?
Non è che il fact-checking diffuso, magari, sta al controllo dei fatti professionale come il giornalismo della gente che fa video col telefonino sta al mestiere del giornalista professionista?

martedì 23 ottobre 2012

L'INDIMENTICABILE STORIA DIMENTICATA DI VIRGILIO MOTTA



Questa è la storia di Virgilio Motta, tifoso dell'Inter. Un tifoso strano, che faceva parte di un gruppo sì, ma di un gruppo che si chiamava "Banda Bagaj" (Banda bambini, in dialetto milanese) nato per portare anche i piccoli allo stadio. Un tifoso strano, un tifoso normale, se ci passate l’ossimoro. Un tifoso aggredito come un ultrà, che in quell'aggressione ci perde un occhio, che per quell'occhio avrebbe dovuto ricevere 140.000 euro di "danni", che quei soldi non li ha mai avuti. Un tifoso strano, che non è morto di calcio: è stato suicidato.
Sì, questa è la storia di Virgilio Motta, che il 24 maggio scorso s'è ucciso per colpa di questo Paese. “Anche” di questo Paese, va bene? Così mettiamo in conto le ovvie giustificazioni a latere. Quella di Virgilio Motta è una storia perché è un esempio perfetto di come funzionano le cose, nei giorni della puzza napoletana sdoganata sul servizio pubblico, o dei cori contro un ragazzo morto sanzionati con uno scappellotto.  Qui le cose non cambiano mai. E questa storia è un monumento alla merda stratificata nell'immobilità.
Virgilio Motta, padre di una bimba, è al Meazza per assistere al derby milanese del 15 febbraio 2009. Un gruppo di ultras milanisti cala dal secondo al primo anello per punire un gruppetto di interisti che hanno osato strappare uno striscione. Motta finisce per caso in mezzo alla rissa. Gli arriva un pugno che gli spappola un occhio.
Il 17 luglio 2009 il giudice Alberto Nosenzo condanna a pene comprese tra sei mesi di reclusione e quattro anni e mezzo di carcere sei ultras milanisti accusati, a vario titolo, di rissa aggravata e lesioni. Luca Lucci, uno dei capi storici della curva Sud, viene riconosciuto colpevole di aver sferrato il pugno. A Motta viene riconosciuta invece una provvisionale di 140 mila euro a carico dei condannati "da versare in solido". La moglie di Lucci alla sentenza urla a Motta che "i 140 mila euro te li devi spendere tutti in medicinali, maledetto infame".
Ma in Italia funziona così, la giustizia: i condannati, semplicemente, non pagano perché quei "poveretti" risultano nullatenenti. E Motta non se li può spendere nemmeno in medicine quei soldi, come pure avrebbe voluto fare. Accetta suo malgrado persino una sorta di pagamento rateale: niente. Entra in depressione, piano piano. Spesso funziona così. In silenzio. Pur andando allo stadio, ancora. Senza bambini però. I bambini no. Tre anni dura. Poi, il 24 maggio, la fa finita. Il suo legale, l'avvocato Consuelo Bosisio, dice che "le sue condizioni psicologiche sono peggiorate perché gli imputati condannati per quegli scontri non gli hanno versato i 140 mila euro che gli dovevano come risarcimento e con i quali lui voleva andare a farsi curare all'estero”.
Ma sono parole a posteriori. E l'Italia è un posto che campa solo a posteriori. E non impara mai. Per dire: il 20 settembre i capi della curva Sud del Milan vengono ricevuti a Milanello per il “solito” faccia a faccia minaccioso con i giocatori, rito che usa un po' ovunque quando le cose vanno male e le società abbassano lo sguardo di fronte alle pretese violente dei tifosi. Ecco, a Milanello c'era anche Luca Lucci, il capotifoso nullatenente che tolse l'occhio ad un padre, allo stadio. Libero, Luca Lucci.
Facciamo finta che no, i cori allo stadio di Torino e di Verona non c'entrano niente con questa triste storia. E invece è proprio lo stesso fottuto campo da gioco. Ci sta bene tutto, sempre di più. Accettiamo che non ci siano più regole morali né giustizia. Che la stratificazione dell’impotenza azzeri la memoria e disinneschi tutto. Che senza muri, senza limiti, si campi meglio. E invece si campa male. A volte i più deboli non ci campano affatto.
Perciò è morto Virgilio Motta, tifoso x  di una squadra x, che andava allo stadio con i bambini.

venerdì 19 ottobre 2012

FACCIAMO CHE SPIEGO UN PAIO DI COSE A D'ALEMA

Facciamo come quando eravamo piccoli, che si giocava a "fare" gli altri. Ecco, facciamo che io sono un elettore, di sinistra persino, e c'ho D'Alema davanti che mi dice un po' le cose che ha detto ieri a Repubblica. Facciamo:

"Non è piacevole essere rottamato e senza indennizzo"

Onorevole, io sono costretto a chiamarla Onorevole da anta anni. Lei è Onorevole da anta anni perché un sacco di noi ha votato per il suo partito. Ora finisce la legislatura, si va a votare. Indennizzo di che? Chi la sta licenziando da un posto a tempo indeterminato? Cosa le spetta? Da chi le spetta? Il suo seggio è semplicemente scaduto, torna in gioco. Nemmeno Veltroni dobbiamo santificare, per dire. Questa cosa, detta così semplicemente, fa parte della democrazia. Ha presente?

"La Bindi è stata insultata da Berlusconi, c'è un dovere di rispetto"
Il postulato deriva da una specie di proprietà transitiva dell'insulto: se uno che io considero il male ha insultato uno, quell'uno è il bene. Giusto? Bene. Cioè, male.

"se si deve chiedere a qualcuno di andare via perché bisogna avvicendarsi, lo si deve fare con garbo"
Non è che glielo devo chiedere. E' che proprio lei, la Bindi, misterX, andate via di default. Se vuole gliela rispiego, quella cosa della rappresentanza popolare, quella robaccia delle elezioni. Ma con garbo, gentilmente, mi faccia la cortesia.

"dove non c'è rispetto non c'è stoffa da leader"
Il pulpito, onerevole, il pulpito. Scenda da lì, che le vien male.

"Se vince Bersani, lascio. Se vince Renzi no" (Questa frase non l'ha detta, in verità. Nell'articolo, non smentito, è dato per concetto assodato)

E qui Renzi vince game set match. Il punto è che in questa scelta c'è il riassunto di tutti i motivi per cui i D'Alema del centrosinistra debbono andare a godersi una sana vecchiaia in barca. C'è il flashback di Mastella e Bertinotti, e dei governi che cadono lasciando le macerie in pastoia a Berlusconi. C'è il potere più forte di tutto, la questione personale che rumina al di sopra del bene comune, del partito, degli elettori, dei cittadini. Se vince Renzi, si ricomincia a tirarsi calci nelle palle, da soli. La guerra intestina, il meteorismo elettorale. La merda democratica, proprio.

giovedì 18 ottobre 2012

PAROLE USATE COME DOVREBBERO

"È incredibile come i bambini si adattino alle superfici disponibili, usando marciapiedi, gradini e tombini. E come sappiano valersi di un mondo butterato per effettuare una delicata inversione, inventando qualcosa di armonioso e intelligente e governato da regole"

Don De Lillo per Umberto

"per poi passare il resto della vita cercando di ripetere il processo"

Don De Lillo per il papà di Umberto, che sarei io.

lunedì 15 ottobre 2012

I CAZZETILLI CON GLI ORAPI

Ieri a tavola, in una trattoria di un paese abbruzzese di cui non farò il nome (La Porta, a Scanno), in tavola c'erano dei meravigliosi "cazzetilli con gli orapi". Euro 6,50.
Non so se esista un presidio slow food, per questa cosa qui. Ma so che lo stesso piatto, messo in menù come "gnocchetti di grano duro tirati a mano alla vecchia maniera con riduzione di spinaci di montagna selvatici colti in uno stazzo concimato dai greggi in partenza per la transumanza" andrebbe via a 25-30 euro, e un paio di stellette Michelin.
L'Italia vera, quella del cibo veramente lento, è quella dei "cazzetilli con gli orapi".
Ho detto.

giovedì 4 ottobre 2012

VERIFIED BY VISA, IL MALE

Dici ma come è fico comprare la roba online: due click e hai fatto. E invece. Seguitemi, che la trafila della semplicità ai tempi dell'internet è una cosa da Kafka incazzato e ubriaco.

1) vai sul sito sul quale vuoi effettuare l'acquisto, e ovviamente, devi registrarti con conferma via mail. Facile.
2) scegli l'articolo che vuoi acquistare e vai a pagare.
3) scegli come metodo di pagamento Carta di Credito, la Visa
4) non gli bastano i dati della carta, entri nel fantastico mondo del Verified by Visa
5) reinserisci i dati della carta, ti chiede pure il CAP (immagino sia il Codice di Avviamento Postale, giusto per essere digitali), e inserisci la password che ti eri perfettamente appuntato sull'iPhone, ché lo sapevi che prima o poi ti serebbe servita.
6) no. La password non è riconosciuta. Riproviamo
7) niente. La password non è quella. Eppure ne sono certo: è questa! Vabbè, dai facciamo finta di averla smarrita e ce ne facciamo impostare un'altra
8) reinserisci tutti i dati e rispondi alla domanda di sicurezza (sì, Pulp Fiction è il mio film preferito)... no: non sei tu il titolare di questa carta di credito. EEEEH?!
9) contatti > assistenza > assistenza in base alla tua banca > driiiiiin
10) no signore, lei deve chiamare Barclaycard che ha emesso la carta
11) iscrizione al sito di Barclaycard, tre domande tre con doppia risposta d'emergenza, oltre a tutti i dati. Ok, ORA puoi contattare l'assistenza
12) immissione per via telefonica di tutti - TUTTI - i dati della carta: "Salve signore, sì signore, capisco signore... Ma le devo prima chiedere di reimpostare il codice di accesso telefonico, sa, sono cambiate le regole, resti in linea"
13) impostazione del nuovo accesso telefonico. Ritorno al menu telefonico principale
14) immettere di nuovo TUTTI i dati, immetterre il nuovo codice telefonico. Restare in attesa
15) "sì signore, capisco signore, dobbiamo rifare tutta l'iscrizione al programma Verified by Visa e resettare poi tutto il blocco. Le passo un collega, resti in linea"
16) "sì signore, capisco signore: resti in attesa... Sì, signore, la ringrazio per l'attesa. Ho segnalato il problema, abbiamo tutti i sistemi in aggiornamento, e speriamo che il problema si risolva al più presto. Nel frattempo se vuole può chiamare la Visa direttamente per sollecitare".

La prossima volta al mercato nero, in contanti, con banconote segnate di piccolo taglio. Sennò la rapina a mano armata.