venerdì 25 maggio 2012

VITTIME DEL VITTIMISMO

Stamattina mi sono svegliato e mi son buttato sotto la doccia. Ché allo stadio sono maniaci dell’igiene personale, ed è bruttino quando migliaia di persone ti invitano gentilmente ad usare il sapone. Poi, fischiettando, ho messo su l’ultimo cd di Arisa, e ho cantato a squarciagola, con la mano sul petto e l’altra sull’ugola, per gorgheggiare a tono.
Ho immediatamente controllato i miei carichi pendenti, perché ogni volta che torno dalla partita mi sorge il dubbio: ma vuoi vedere che son camorrista e non me ne sono accorto? Poi ho chiamato l’istituto di vulcanologia, per le previsioni del meteo: hai visto mai che piova lava proprio oggi che ho fatto il bucato. Ho fatto il carico di Ciappi al supermarket e ho radunato i randagi del rione per una bella rimpatriata, e ve lo dico: i cani non scappano mica, sono degli amiconi. Anzi passo a salutare Gimbo, al canile, che tanto è di strada per l’ospedale.
Ah, non ve l’ho detto? Domenica sera, alla tv, su Rai Uno ho sentito un coro lontano che ha risvegliato la mia ipocondria: Napoli colera. Il colera? Ma davvero? Ma non era debellato? Ma no – m’ha detto mia moglie – è solo il tifo. Uddio, il tifo! Ma io c’avevo il vaccino… Insomma un controllino non fa mai male, e quindi eccomi qua: tuttapposto. Nonostante le tonnellate di munnezza invisibile, che prima o poi mi prenderanno per pazzo: la vedo solo io, ammassata negli anfratti del tappeto cittadino, nascosta per ribadire che il problema non c’è più, semmai c’è stato. Per contrabbandare un’immagine che conta più della sostanza. E conta difenderla, l’immagine, dagli attacchi di chi ci isola, noi partenopei.
E questo è il punto. Sono giorni che scartavetro i maroni giù al Comune perché ricontrollino i dati della carta d’identità: c’è scritto italiano. E mi assicurano che non è un refuso: Napoli è davvero in Italia, checché ne dicano i napoletani. Non in Africa, come dicono i tifosi della Juve, del Milan, dell’Inter… E non è nemmeno un’isola, pensa un po’. Anche se noi ce la cantiamo in falsetto: siamo noi, e basta. Unici, isolati, partenopei. Ci piace così, ce ne facciamo un vanto, coviamo l’ambizione che sia una realtà impostaci da altri, consegnataci da una storia che ci vede sempre nel ruolo di vittime. Ce ne lamentiamo, ma se ci accusano di vittimismo ci offendiamo.
Godiamo come ricci se vinciamo la Coppa Italia, ma ci neghiamo l’appartenenza all’Italia. Incolpiamo, ma non è mai colpa nostra. Viviamo per reazione, come se non agissimo mai, noi. Cittadini di un luogo comune sovraffollato. Ve ne rendete conto o no?
Ci facciamo metaforicamente la doccia quando ci urlano che “col sapone non ci siamo mai lavati”, e ci sporchiamo ancora, di più, quando rispondiamo. Incapaci, così facendo, di sentirci superiori, di non abbassarci ad un livello che pareggia tutto nella mediocrità. Incaponendoci a difendere i mandolini e le cartoline, tradendo Napoli, i napoletani, e i partenopei che se ne fottono delle etichette e che dimostrano la loro grandezza ogni giorno in silenzio. Che mostrano rispetto e non lo pretendono, e per questo lo ottengono.

lunedì 21 maggio 2012

LA NOTTE IN CUI CI SIAMO SCOPERTI MENO TIFOSI (IO E ILARIA)

Con Ilaria Puglia ci siamo sentiti dopo la vittoria del Napoli in Coppa Italia. E ci siamo sentiti vicini, e lontanissimi da una città ubriaca di festa. E quindi abbiamo scritto questa cosa a quattro mani, sul Napolista (e un po' anche qui):

IO – La notte in cui mi sono scoperto meno tifoso era cominciata bene: amici indivanati, pappatoria pronta, bimbi autorizzati a distruggere il resto della magione ma alla larga dalla tv. Ché c’era “la” finale. E se virgoletto “la” è perché intendo “l’unica finale” del Napoli, non “la grande  finale” del Napoli. E non è proprio la stessa cosa. Di questa mia intima teoria m’ero dovuto vergognare già nei giorni addietro, perché l’atarassia mal s’addiceva alla volata ad un evento paranormale del terzo tipo: il primo tipo, lo scudetto, il Napoli l’aveva snobbato per inseguire le vane glorie del secondo tipo, la Champions. E paranormale pure perché non ci trovo niente di normale, io, nell’approcciarsi alla Coppa Italia come al Mondiale e nel festeggiare, poi, la vittoria come se non ci fosse un domani.
ILARIA – La notte in cui mi sono scoperta meno tifosa era cominciata bene: puntuali davanti alla tv nonostante il weekend passato al mare. Valigie vuote, tutto in ordine, si poteva stare a impazzire sul divano nella battaglia per un trofeo. Eppure mi alzavo di continuo, addirittura lavavo i bambini durante il primo tempo, perdendomi dieci minuti di partita. Ché non riuscivo a considerare come un trofeo ma solo come una coppetta, riabilitata da qualche anno dall’accesso diretto all’Europa minore. Di questo mio pensiero mi ero dovuta vergognare già nei giorni addietro, perché non provavo neppure un fremito al pensiero del 20 maggio, anzi, questa data mi era anche venuta un po’ a noia, sembrando il mondo doversi fermare proprio quella domenica. Insomma, era tutto diverso dal solito, a partire dallo stato d’animo: al fischio di inizio pensai solo “stasera è diverso perché assisto, non gioco”.
IO - Ecco qua: mentre lo scrivo me ne vergogno, quasi in modalità psicoterapeutica. Che qualcuno mi salvi da questo nulla, per carità. La mia maschera è caduta miseramente mentre l’euforia generale montava al gol di Cavani, mentre mi grandinavano addosso da Twitter le gioie “virtuali” della feroce realtà: stavamo vincendo un trofeo. Ho avvertito la stessa sensazione di nulla, come se, dal momento che si trattava di un trofeo, nella mestizia di una attesa durata 25 anni, allora l’etichetta imponeva d’arraparsi come un adolescente davanti alla sua prima volta, e io semplicemente non ce la facevo.
ILARIA – Vorrei stendermi sul lettino di uno psicologo. Parlare del dolore per aver perso una Champions, di quel dolore che ho ricacciato dentro e che ieri è esploso di prepotenza. Perché questo è: io guardavo la finale di Coppa Italia e pensavo a Drogba che il giorno prima aveva alzato la Coppa dei Campioni. E provavo un’invidia folle, maledetta. E poi c’è l’aria asfittica, quella che si respira oggi. L’ha ufficializzata De Laurentiis: la prima vittoria della rinascita. Prima niente, è il passato, roba vecchia, emozioni smontate dalla storia. Cioè, io non so più chi sono: l’ho vissuto tutto quello che c’è stato prima, oppure no? Tutti respirano e io soffoco.
IO – Ecco come mi sento, oggi. Le ambizioni sono il sale dello sport, la misura delle cose impreziosisce l’esaltazione dei risultati. Non puoi trattare la Coppa Italia come la Champions, non è sano. Ma forse sono io a non essere sano. Non è sano, da parte mia, covare ancora risentimento per le occasioni sfumate, per quell’eliminazione buttata col Chelsea, per quel terzo posto che ci hanno regalato mille volte e che mille volte noi abbiamo girato ad altri. Ecco, il terzo posto l’avrei festeggiato di più, perché avrebbe significato un futuro prossimo di emozioni, altre notti da grandi del pallone, e non una “coppetta” consolatoria che ci introduce all’Europa minore, l’anno prossimo.
ILARIA – E quando la città intera, sull’1-0, aveva già cominciato a fare fuoco, io ero lì, imbambolata nel minimo sindacale della goduria: manco stessimo battendo un Chievo nel mezzo della stagione, contenti sì, ma insomma… Al raddoppio di Hamsik, mentre il Martire prendeva a calci il pallone in salotto dalla felicità, mentre persino i bambini si univano a noi nelle loro lacrimevoli proteste per la troppa confusione, ero già in un’altra dimensione: un posto brutto, orribile, in cui reputi tutto esagerato, fuori luogo, e al contempo ti senti tu fuori luogo, decontestualizzata, colpevole di essere tifosa ma non abbastanza tifosa, magari nemmeno tifosa per davvero.
IO – Affacciarmi al balcone e guardare con condiscendenza quei corpi spogliati nei caroselli notturni, ripetendomi: è la Coppa Italia guagliù, è solo la Coppa Italia e cogliendo l’immensità di tutto quel vuoto, perché a pensarla così ero solo io. Abbiamo battuto la Juve sì, ma quella già satolla di scudetto. Contento più per l’espulsione di Quagliarella (chiusura del cerchio, afammoc) che per tutto il resto. E un po’ triste, nella felicità generale, per l’addio di Lavezzi
ILARIA – Mio marito mi ha detto che sembravo un’ameba. Contenta più per la fine dell’attesa del mondo intero per questa domenica che per tutto il resto. E un po’ triste, nella felicità generale, perché commossa dalle lacrime di Lavezzi. Marco aveva gli occhi lucidi, che non ha avuto per la Champions, io, invece, che quando pareggiammo contro il Manchester mi inginocchiai piangendo in salotto, me li sentivo riarsi, al punto da pensare di metterci dentro un paio di lacrime artificiali.
VICINI E LONTANI – Sentirci rinfacciare una sobrietà di cui i napoletani devono essere sprovvisti per definizione ci fa male. Anche se vuol dire essere esclusi da un’isteria conformista, quella delle feste tutte uguali: e i clacson fino all’alba, e i tuffi nelle fontane, e il traffico bloccato, e i fuochi d’artificio, e il pullman scoperto. Come il Barcellona. Ma anche come il Torino che torna in A. Tutti uguali. E tutti ubriachi di gioia, tutti. E noi no. Scoprirci l’altra faccia della festa. Che vive le felicità per gradazioni, che non riesce a godere per il poco come se fosse il tutto. Forse, semplicemente, siamo meno tifosi. Stamattina, per strada, sbadigliavano tutti. Noi eravamo sveglissimi. Una solitudine rumorosissima, fatta di sogni presi a calci nel sedere, di sorrisi posticci. Praticamente, un incubo. 

venerdì 18 maggio 2012

IN DIVIETO DI SOSTA. A MIA INSAPUTA

Ve la faccio breve: ieri ho parcheggiato in divieto di sosta a mia insaputa. Cioè: per miracolo avevo trovato un posto regolare, strisce bianche apposite, per la mia moto, in via San Pasquale, quartiere Chiaia, Napoli """"bene"""" con mille virgolette e mimo esplicativo a supporto. Non uno scooter, badate: una moto da 200 kg, con un bel bloccadisco cementato alla ruota. Tempo tre ore, e al mio ritorno la mia moto non c'è più. Meglio: non c'è più nemmeno il parcheggio regolare per le moto. Solo una lunga fila ordinata di auto. Moto rubata? No, semplicemente spostata di peso e posizionata a 3-4 metri sul marciapiede, col manubrio appoggiato alla saracinesca di un negozio. Scorgo il parcheggiatore abusivo che svolge il suo onesto lavoro in una zona ufficialmente "bonificata" dal Comune, e vado a chiedere spiegazioni. Prima risposta: "Nun saccio niente, io guardo le macchine, non i mezzi". Insisto. Seconda risposta: "Saranno stati quelli che dovevano parcheggiare la macchina". No. Terza risposta: "Ma pecché, se pure fosse, qual è il pobblema?". Errore mio: mi porgo male. Quarta risposta: accerchiamento di altri tre energumeni spuntati presumibilmente dalle viscere della città  per magìa, due in scooter: "Capo, dici a noi, che vuò fa'?". Vabbé, decido pavidamente che non ci voglio arrivare alla quinta risposta, per cui mi allontano e vado in cerca di una pattuglia qualsiasi. Ma sono  le 22:30, mica è facile. Allora chiamo: non risponde nessuno. Nessuno per 10 lunghissimi minuti, né i vigili urbani, né la Polizia. Rispondono i Carabinieri e mi dicono onestamente che non manderanno una pattuglia per una cosa del genere. Prendo coscienza che non perderò ulteriore tempo per presentare una denuncia per spostamento fisico di motoveicolo. E me ne torno a casa con le pive nel sacco, incazzato come un ramarro, sperando che non mi arrivi, un giorno o l'altro, anche la multa per divieto di sosta. A mia insaputa.

martedì 15 maggio 2012

E QUI ITALIA

Quel che segue è quel che penso della questione Equitalia, estratto da un lungo e polemico carteggio con amici.


Lo Stato italiano ha delegato ad una società altra una cosa che dovrebbe essere di sua precipua pertinenza, solo perché non si sente, non è, in grado di svolgere il compito. Il che è svilente, e ha dei costi. Equitalia è una società per azioni a capitale interamente pubblico. Dalla riscossione delle tasse ci fa ricavi: più di un miliardo l'anno in sole commissioni. Che lo Stato tragga un profitto (diverso dalla tassa stessa) dalla riscossione dei tributi, per quanto mi riguarda, è già assurdo di per sé.
Inoltre lo Stato ha "regalato" ad Equitalia  una regolamentazione che di equo non ha assolutamente nulla e che gli permette di agire sul filo dell'usura e della molestia, lasciando il cittadino senza forme di tutela vere. La maggior parte dei cittadini non ha gli strumenti, il tempo e anche la voglia (sì, la voglia!) per stare dietro alle angherie alla quale è obbligata a sottostare dalla frammistione burocrazia-errori-strafottenza-disorganizzazione. Gli interessi elevati, i raddoppi delle sanzioni anche solo per un giorno di ritardo, ecc... i mezzi dissuasori forti cioé, se li può permettere un meccanismo sano, giusto, che riduce al minimo i danni collaterali ed è pronto a rispondere in proprio, e in immediato, degli errori commessi. Cosa che Equitalia non fa. La giustizia a senso unico non è giustizia. Vuoi fare lo Stato forte con me? Mi costringi a giorni di ferie, file interminabili, schedari vaticani nello sgabuzzino? Embé, se alla fine ti dimostro che hai sbagliato: mi ripaghi tutto, immediatamente, anche i danni morali. Questo fa uno Stato che funziona e non atterrisce i suoi contribuenti. In caso contrario questa S.P.A. è autorizzata dallo Stato ad usare una legislazione speciale per fare profitti. E punto.
Uno Stato debitore marcio, e creditore esemplare, che non ammette compensazioni, è nemico della giustizia. E il cittadino ha diritto pieno a ribellarsi (certo non con la violenza).  Quando Cancellieri dice che "chi colpisce Equitalia colpisce lo Stato" dimostra la sua pochezza analitica. Uno Stato che agisce in questa maniera merita poco, pochissimo rispetto. Diciamo il minimo legale.

mercoledì 2 maggio 2012

PROVACI TU A COMPRARE UN BIGLIETTO DEL FRECCIAROSSA ONLINE

E quindi oggi mi sono imbarcato nell'acquisto di un biglietto ferroviario. Una volta s'andava in agenzia, o facevi la fila in stazione. Oggi ti metti comodo davanti al pc, e pensi di risolvere la cosa in 2 minuti. E invece no. 
E invece ecco cosa ti tocca fare:

- Vai sul sito del conto in banca, e ricarichi la carta di credito prepagata. Dicono tutti che è più sicura no? 

- Vai sul sito di Trenitalia, nuovo nuovo perché quegli altri, Italo, fanno la (finta) concorrenza, e ti incammini nella sezione "acquista un carnet" (sì, io li compro a pacchetti da 10 i biglietti). Selezioni il tipo di treno e di tratta e...
- No, non puoi acquistare un carnet se non hai la tessera fedeltà. Infedele!
- Fai, dunque, la registrazione per la tessera fedeltà ed ottieni il tuo bravo codice fedeltà.
- Ricompili daccapo tutte le caselle e arrivi nella sezione pagamento.
- Scegli di usare la tua prepagata Mastercard. Riempi i campi che servono e il sistema va ad elaborare la richiesta...
- (attesa)
- "Ordine non processato"
- E che è successo? Errore 101: malfunzionamento del sistema di pagamento, riprovare più tardi. E se devi partire tra poco? Vabbé, non è il tuo caso e non fai polemica.
- Ti colleghi dopo un'ora e rifai tutto, di nuovo. Elaborazione... Errore 101!
- Uno qualunque (diciamo mia nonna?) chiamerebbe immediatamente Trenitalia per chiedere lumi. Ma la telefonata costa 40 cent di scatto alla risposta, e 50 centesimi al minuto. Calcoli che, considerate le ovvie attese, la telefonata ti costerebbe almeno 4-5 euro. Passi.
- E allora provi a cambiare: rifai ancora una volta tutto. Ricompili tutti i campi alla velocità della luce e scegli di usare stavolta la tua carta di credito Visa, quella normale.
- E no! Devi aderire al programma "Verified by Visa", per la tua sicurezza, è ovvio.
- Fai la registrazione a "Verified by Visa", ma ti dà errore: perché hai messo il Cap della tua città e non esattamente quello della tua abitazione. Ma come cazzo fanno a sapere dove abiti? Boh..
- Ok, ora ricompili il form per pagare e...
- Andata! Il carnet è tuo! Prodigio.
- Ora devi usare il carnet per prenotare il tuo viaggio. 
- Si ricomincia: compili l'impossibile ma alla fine ce la fai, hai il tuo posto prenotato sul Frecciarossa. E un po' di codici da segnarti. Ma tranquillo... c'è l'opzione "manda i dati del viaggio via sms".
- Inserisci il tuo numero di cellulare e...
- "Impossibile mandare l'sms"
- Azzanni il tavolo, sgranocchi un pezzettino di monitor saporito, e prendi nota sull'Iphone dei tuoi vari Pnr. Dai che è finita, un ultimo sforzo.
- Ti ricordi però che l'ultima volta beccasti un controllore-androide che per non farti la multa volle avere in visione documento d'identità, carnet, carta fedeltà (che non avevo) e analisi delle urine. Il carnet, lui lo voleva stampato su carta, proprio. Tu a questa cosa della carta ti ribellasti come un militante di Greenpeace al quale torturano il cucciolo di foca. Eh, hai il Pdf, fatti bastare il Pdf!
- E allora apri l'e-mail con la ricevuta del carnet dall'Iphone e speri di salvarti l'allegato sul telefonino...
- "Per visualizzare l'allegato scarica l'app di Adobe Acrobate".


Eviterò i particolari del linciaggio al quale ho sottoposto nella mezzora successiva il mio vecchio 3gs. E vado a fare i conti: per acquistare un carnet di biglietti e prenotare un viaggio sul Frecciarossa ci ho messo 45 minuti, inframmezzati da un'ora di stacco per far riposare il sistema dopo il fatidico "errore 101".


La prossima volta salgo senza biglietto, come i venditori di calzettini.