C’è stato un tempo in cui Twitter non se lo filava nessuno, c’è stato persino un tempo senza Twitter. Cioè: il tempo si spendeva in altra valuta. Molti, un’infinità, vivevano su Facebook, altri si isolavano vivendo e basta. C’è persino qualcuno che leggeva i libri. Quelli di carta, senza batterie, retroilluminazione riposante, fisiologicamente tattili. Quelli vergati a mano da Franzen, per esempio, che contro il mezzo ha dettato al mondo una serie di ragioni più o meno condivisibili, tirate via per lo più dall’approssimazione titolistica in “fa male alla letteratura”. In pochi giorni l’hashtag #senzatwitter ha rastrellato migliaia di pizzini di vita non vissuta, ma tutta in positivo. @simonespetia ha scritto, per esempio, che “#senzatwitter avrei molte meno informazioni di quelle che ho. Sarei un cittadino più povero, con meno strumenti di conoscenza”. Che rappresenta una ragionevole e stringata arringa difensiva nel processo che s’è scatenato pochi giorni fa, quando Michele Serra (uno che per Severgnini “sarebbe un twitterista nato”) ha pubblicato su Repubblica un’Amaca feroce contro il microblogging, con argomenti tipo questo: "Zero possibilità che dal cozzo dei 'mi piace' e 'non mi piace' scaturisca una variante dialettica, qualcosa che sposta il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche".
Twitter è andato in autoprotezione immediata. E Serra è stato costretto a tornarci su con un altro editoriale lasciando intendere con questo che, evidentemente, anche le poche battute dell’Amaca non lasciavano abbastanza campo ad un ragionamento ben articolato. Sottolineando, magari involontariamente, che è proprio la risicatezza del mezzo, qualunque esso sia, la questione in oggetto. Luca Sofri gli ha risposto così e tralasciamo ulteriori codazzi, perché la bella discussione è andata sfumando.
Il punto però resta chiuso in 140 caratteri, e in un cancelletto che rompe la grammatica: #senzatwitter. Proprio ora, in questo momento, il multitasking patologico mi impone l’apertura di due browser e un’altra manciata di programmi. Le agenzie sfornano news, e un’occhio non puoi non buttarcelo. E poi c’è Twitter, che è un fiume in piena di curiosità, battute, notizie, spunti. Solo che Twitter ha spezzettato ancor di più questo pezzo, imponendomi – le ho contate – 7 pause. Non mi serviva granché sapere che “oggi è il giorno buono per abbuffarsi di zeppole fritte”, e quelli sono secondi di concentrazione che non recupererò più. Ma si tratta sempre di scelte, di priorità, di autogestione. La sera, sul comodino, a me resta un libro. Che provo a leggere, spegnendo il cellulare. Un faticaccia, ma mi piace pensare che un mondo #senzatwitter sarebbe un mondo #conmenooccasioni. E quindi cerco di difendere il mezzo, anche non usandolo.