Io ho letto Giuseppe D'Avanzo per un bel po' di anni. Non lo conoscevo, all'inizio non conoscevo la sua carriera, la sua storia personale, la sua faccia. Ne leggevo la sostanza, e lo stile, nelle inchieste. Dicevo ad amici e colleghi: D'Avanzo è il migliore. E pensavo: quanto sarebbe bello che un giorno anche una sola persona dicesse di me robe del genere, solo leggendo quel che scrivo. Il lavoro che porta risultati.
Ecco, D'Avanzo, lasciando il Corriere della Sera, aveva lasciato ai suoi giovani colleghi le seguenti 5 "regole di Peppe":
- al mattino fai cinque telefonate a cinque fonti diverse, a persone che ti possono dare notizie, non importa quali, basta che ti spieghino come stanno le cose;
- studia, non smettere mai di studiare, appassionati ai problemi, falli tuoi;
- rispondi, devi rispondere sempre quando il giornale ti chiama;
- ricordati che questo lavoro lo devi vivere con passione, ogni benedetto giorno, e metti passione in quello che scrivi, coinvolgi il lettore, butta sempre il cuore in quel che fai.
Altrimenti non ne vale la pena, non è giornalismo.
Michele Serra ha scritto nella sua "Amaca" che il giornalismo è uno dei mestieri più ignobili del mondo: rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli. Ma che ci sono giornalisti che non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere.
Un contratto a tempo determinatissimo dice che io sono pagato per fare il giornalista. Un esame assolutamente ridicolo attesta addirittura che lo faccio da "professionista". Solo che delle cinque regole di Peppe io ormai ne seguo solo una: rispondo al telefono... E mi considero pure un discreto vice-scrittore e un improvvisatore come pochi (no, pettegolo no). Lascio scolorire nella routine il mio mestiere, mea culpa, e stupro le parole solo per caricare concetti vuoti, il più delle volte.
Ha ragione D'Avanzo: non è giornalismo quello che faccio. E forse non ne vale la pena. Ma D'Avanzo raccomandava ai suoi anche di avere il coraggio di fare scelte coraggiose, nel lavoro e nella vita. Ed è triste auto-convincersi appena superati i 30 (con un bambino piccolo a casa) che rinunciare ai sogni, mettendo in cantina le proprie capacità, per prendersi ogni mese uno stipendio (chiamiamolo così) è diventata forse la scelta più coraggiosa e responsabile di tutte.
Mi piace raccontarmela così. Ho bisogno di raccontarmela così, 'sto schifo di storia.
Pic,il tuo blog dovrebbe essere nei most di tutti i motori di ricerca...ma si sa,forse io sono di parte.....
RispondiEliminaecco, anche qui, tristemente simili...
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