Don Raffae' a Napoli è una promessa. Una cambiale. Un pagheró. Un assegno in bianco al portatore sano di tifo. Piú del tecnico il nome, piú dell'uomo l'altisonanza del suo curriculum, piú della tattica la pragmatica. Benitez a Napoli è uno sbuffo di sogno che travisa un concetto banalissimo: se uno cosí ha accettato il Napoli, vuol dire che De Laurentiis gli (ci) ha garantito una bella campagna acquisti, investimenti da grande squadra europea, un futuro inedito per questi lidi in cerca di emancipazione.
Non ci vuole mica la ricetta di Ciccirinella, è la fisiologica paura della rivoluzione, il timore di inciampare nel passo piú lungo della gamba, che induce all'ottimismo preventivo ancorché taumaturgico. Via i risultati assicurati da "sua provincia" Mazzarri, serve un orizzonte spalancato ora. Non si vince col freno tirato. Ed ecco allora il grande nome a garanzia dei buoni propositi, a razionale copertura del salto nel vuoto. Benitez, insomma, è ancora un'idea. Un'astrazione. Una velleità.
C'è poi tutto il resto, al netto della noia di trovarsi in panchina uno di cui si sa praticamente tutto. È il destino di quelli che arrivano già vincenti. Farsi leggenda in itinere. Le 22 ore al giorno di veglia, che tanto Don Raffae' è un robot. Il database da server della Nasa, la sua rete di osservatori che manco la Cia. Il programma per farsi dire dal pc chi sta bene e chi no. Il suo è un pallone dei numeri, leggermente autistico, ma senza le storture da irrigidimento filosofico di Sacchi o di un primo Ancelotti. È un secchione, Don Raffae', con la faccia buona e la cazzimma repressa, col pizzetto o senza. È uno che, preso ingiustamente a paccheri nei primi e unici mesi interisti perse la splendida occasione di dare le dimissioni d'orgoglio, invece di farsi cacciare a mezzo stampa. Aveva appena vinto il Mondiale per club, la competizione perfetta per agghindare la sua personale bacheca col minimo sforzo. Poteva andar via e rinfacciare a Moratti quel comportamento da lavandaia isterica lasciata sull'altare da sua maestà Mourinho. E invece scelse la via dell'esonero ben pagato. Spiega piú il personaggio questa manfrina che tutta la letteratura accumulata negli anni sulle sue abitudini anglo-mediterranee, come anche il talento di finir vincitori pur perdendo.
Del professore che insegna calcio ne son piene le agiografie. I suoi motti hanno l'appeal dell'unghia sinistra di Mou che sbadiglia. E questa cosa denuncia in positivo un'attitudine alla meticolosità del lavoro, all'applicazione trasparente che avrebbe convinto De Laurentiis. E che aveva stancato - a leggere i tabloid - i giocatori del Chelsea. Dell'apparenza, dell'immagine, della simpatia non c'è in verità molto di cui preoccuparsi. Peggio di Mazzarri, nella specialità, difficile fare.
Ma la sostanza, per noi napoletani, è un'anteprima di ciclone che stiamo forse sottovalutando. I numeri da giocare al Lotto ve li hanno già dettati: 4-2-3-1. E non sono numeri sterili. Anzi, sono un romanzo di fantascienza, oggi. La squadra di Mazzarri perde d'un tratto significato, bisogna tradurre per i giocatori un nuovo giro di ruoli, bisogna riempire i buchi che pur ci saranno. Cambiare tutti i meccanismi di difesa, comprando giocatori adatti. Svecchiare. Convincere Hamsik a fare il regista avanzato, che pare - almeno questo - l'ultimo dei problemi. Bisogna trovare un "Cavani", magari proprio l'originale. E una spalla "europea" del suvvirgolettato Cavani. E una riserva che serva, mica un Calaió un tanto al chilo. Bisogna farlo nell'anno della Champions diretta, di partite ogni tre giorni, di obiettivi lievitati. Bisogna darsi pazienza, merce rarissima da queste parti. Farsi bastare una promessa per passare l'estate a giocare col calciomercato. Nelle mani di Bigon e, di conseguenza, di qualche dio che l'assista. Per poi, al dunque, chieder consenso a quell'uomo sceltissimo e immenso di Don Raffae'.