E’ troppo tardi. Siamo nel 2012. Ed è troppo tardi per riesumare un dibattito già ruminato dalla storia e dalla terra. Il finanziamento pubblico ai partiti non esiste. E’ morto da 19 anni, dal 1993. Stiamo parlando di zombie, ci stiamo gonfiando di livore sul nulla. C’è stato un referendum, c’è stato il popolo “sovrano” che ha infilato nelle urne un ordine alla politica, nell’unico modo diretto che la Costituzione gli riserva: “Basta soldi pubblici per sostentare le macchine burocratiche dei partiti”. Ecco, tutta questa bella – a volte pacata – discussione sull’opportunità, la forma, la sostanza, la quantità, la qualità, i modi del finanziamento ai partiti semplicemente non esiste. E’ un argomento illegale, irrispettoso delle regole della democrazia e del popolo “sovrano”. Non è “antipolitica” farlo notare. E’ politica di pancia. Ma è anche politica nella sua dimensione più alta. Urlare a questa società cieca che è troppo tardi. Non basta ora svegliarsi dal torpore perché Lusi o Belsito sono stati pescati a giocare sporco coi soldi nostri. Perché i soldi nostri, Lusi e Belsito, semplicemente non dovevano averli per le mani. Il momento giusto per parlare era nel 1994, quando la legge appena abrogata dal referendum fu riciclata in quella presa in giro dei “rimborsi elettorali”. Non è sul merito che dovevamo batterci allora, e non è tecnica la questione che finisce in agenda quasi venti anni dopo. E’ il principio che è stato circuito, raggirato, sfottuto, e buttato in discarica.
Oggi ci meritiamo le manfrine scandalose dei leader dei partiti di “maggioranza”. Bersani, Casini, Alfano: un asse perfettamente diagonale che non ha problemi a dichiarare, travalicando il ridicolo e l’opportunità, che cancellare i rimborsi elettorali “sarebbe un errore drammatico perché metterebbe la politica in mano alle lobbies”. Non può esserci, dopo 19 anni di abuso, la sorpresa. La mancanza di gusto da parte dei partiti, nel rispondere attaccando invece di restare dignitosamente in silenzio, è ovvia. E’ fisiologica. Ora, poi, a richiamare quel benedetto referendum del ‘93 fai pure la parte del bolso retore ingoiato dagli eventi. Urli sfibrando le corde vocali ad una società sorda, che ha dimenticato, ha digerito, o più facilmente se ne fotte. Il dibattito non andava accettato. Non doveva essere un dibattito. Non si torna indietro. Ci siamo già passati. Abbiamo già scelto. Ci avete già preso in giro. Ora fate un po’ quel che vi pare. Questa è antipolitica. Ed è l’unica reazione sana di un Paese con l’Alzheimer.
mercoledì 18 aprile 2012
AVEVAMO GIA' SCELTO
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giovedì 5 aprile 2012
I "SUOI", DI BOSSI, SONO LA POLIZIA DI STATO
Questo è il video in cui potete godervi Umberto Bossi - stipendiato dai cittadini italiani - che invita le forze dell'ordine - stipendiate dai cittadini italiani - a "picchiare" e "investire" il giornalista di La7. Lo manda affanculo, ma questa è prassi. Quel che mi interessa sottolineare è l'ultimo pezzettino di audio, ascoltate bene:
C'è un poliziotto - si suppone - che si sente in dovere di puntualizzare inorgoglito che "i suoi" sono "la Polizia di Stato". E che non si permettesse - il giornalista - di appellarli come uomini di Bossi.
E capisco che la cosa possa risultare offensiva. Ma fino ad un attimo prima, caro Poliziotto di Stato, te ne sei stato lì a prendere ordini da quello lì: "Picchialo... investilo!". Ecco, facciamo che la prossima volta vai da Bossi a puntualizzare che tu sei "la Polizia di Stato" e non uno sgherro qualunque? E che sei lì per proteggere, evidentemente, la sua incolumità e stop? E che sei lì per "servire" lo Stato italiano, e quindi anche quel giornalista che voleva fare qualche domanda? Grazie.
C'è un poliziotto - si suppone - che si sente in dovere di puntualizzare inorgoglito che "i suoi" sono "la Polizia di Stato". E che non si permettesse - il giornalista - di appellarli come uomini di Bossi.
E capisco che la cosa possa risultare offensiva. Ma fino ad un attimo prima, caro Poliziotto di Stato, te ne sei stato lì a prendere ordini da quello lì: "Picchialo... investilo!". Ecco, facciamo che la prossima volta vai da Bossi a puntualizzare che tu sei "la Polizia di Stato" e non uno sgherro qualunque? E che sei lì per proteggere, evidentemente, la sua incolumità e stop? E che sei lì per "servire" lo Stato italiano, e quindi anche quel giornalista che voleva fare qualche domanda? Grazie.
lunedì 2 aprile 2012
IN DIFFERITA FA ANCORA PIU' MALE
Non si può fare. Pensare che il mondo possa lasciarti un tuo fuso orario personale, fingere di viaggiare in una De Lorean col flusso canalizzatore attaccato, e tenere Juventus-Napoli fuori, sospesa nel tempo-spazio, in attesa di tornare a casa e premere play. La partita della vita in differita è un paradosso impossibile.
Quando, a cellulari spenti come su un aereo, sono entrato nella città dei fantasmi, intorno alle 22, ho sperato che quel silenzio fosse solo una sospensione della cronaca. Ho scaricato i bagagli, e ho infilato l’ipod per creare l’isola acustica. Ma il bestemmione mi ha raggiunto in ascensore, presagio di nulla di buono. Ottimismo, mi son detto: magari è un gol sbagliato, o magari sì, ha segnato la Juve, ma noi stiamo già 3-0. Stai calmo, respira: per te sono le 20:45, e ancora tutto deve cominciare.
In realtà alle 20:45 ero sulla Avezzano-Sora-Cassino, il pargolo dormiva, la moglie pure. Per un attimo, solo un attimo, c’ho pensato: la radio. No. Resisti!
Ho spostato le lancette dell’orologio un paio d’ore indietro e via. Volete sapere cos’è la paranoia? La paranoia è interpretare il lampeggio della macchina nella carreggiata opposta per un segnale indiano: hanno segnato? E chi avrà segnato? Scusi, chi ha fatto palo? Ma qui non c’è il cineforum intellettualoide di Fantozzi. Tra me e Juve-Napoli c’è solo un infinito battesimo in Abruzzo. Poi dici che uno è ateo…
Bruciati una ventina di autovelox e dopo aver probabilmente risolto il problema del debito pubblico con le milleduecento contravvenzioni che mi arriveranno da qui a qualche mese, infilo al dunque la porta di casa a partita ancora in corso.
E insomma: non-si-può-fare, lo ripeto. Perché lo “spoiler” è dappertutto. Non basta evitare la notizia, il risultato. Dovresti chiuderti in un sala insonorizzata, senza finestre, giusto una birretta. Perché io vedo l’inizio della partita e fuori nulla accade: nel palazzo, nel quartiere, nessuno esulta, nessuno fiata. Quando finisce la partita, io sono ancora sullo 0-0, e non c’è un botto, nemmeno uno. Ecco qua: ho già capito tutto dall’espressione mestamente contrita della città. Puzza, e puzza di brutto. Ma io sto là, che l’ottimismo dell’immaginazione batte pure la stanchezza. Dai, magari è un fottutissimo 0-0…
A mezzanotte e spicci però vedo Quagliarella con la maglia bianconera che segna il 3-0 e fa il figo non esultando. E sento lo Juventus Stadium cantare a squarciagola O’ surdato ‘nnammurato con accento balengo, una roba vomitevole con le vocali aperte e il “nèè” finale.
E allora ho capito: mi sono addormentato al volante. E pure questo pezzo è solo un incubo. Ora mi sveglio, eh?
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