giovedì 21 ottobre 2010

PILOT

Er munnezza non è di Terzigno. Non ha la mamma che impegna le sue giornate ad incassare manganellate col rosario in mano, sputacchiando ferocia purchessia.
Se proprio volete metterlo da qualche parte, Er Munnezza è cittadino, napoletano. Diciamo apparentabile per prossimità alla discarica di Chiaiano. Per confini e status, lui sta alla base della catena dello sciacquone: produce rifiuti. Aprite un giornale (e poi buttatelo nella carta, per carità) e scoprirete che a occhio funziona così: sei di Napoli? Fai la munnezza e la vuoi rifilare a quella piccola svizzera sparsa sotto il Vesuvio, specie di spruzzata diarroica abitativa che usano chiamare provincia.
Er Munnezza è uno che pensa – stronzo d’un idealista – che se cominciassimo a produrre-usare-buttare di meno, allora forse chissà... 
E’ uno che quando a Napoli cominciarono a blaterare di raccolta differenziata ebbe un fremito d’un millisecondo, coglione d’un ecologista. (Comunista!). 
E’ uno che approfondì i sacri testi esplicativi dell’Asìa nutrendo qualche dubbio sull’opportunità di dover rintracciare l’apposita pila cittadina di raccolta scarpe da calcio (che faccio, i tacchetti li sfilo e cerco la pila per i tacchetti da calcio svitati?), ma lo fece con buon animo. 
E’ uno che apprese l’arte delle prestidigitazione per riuscire ad attraversare l’oceano d’insidie tra il settimo piano e il contenitore nell’androne dribblando la pur sicura rottura del sacchetto biodegradabile dell’umido. Fatto probabilmente d’acqua piovana rappresa, ingegneri di merda. 
E’ uno che quando sgamò i netturbini infilare tutta la mondezza più o meno metodicamente differenziata nello stesso camion puzzolente (oh, si chiamano auto-compattatori…), decise di non mollare subito. No, ci pensò sù prima di scaracchiare a terra il suo disprezzo senza averci con sé (incivile!) l’apposita paletta spala-sputi. (Dai, qualcuno l’avrà inventata, e magari in qualche paradiso di civiltà fiscale sarà pure obbligatoria).
Er Munnezza, mentre a Terzigno si danno alla royal rumble quotidiana con le forze dell’ordine, se n’è andato qualche giorno a Copenhagen. Potrei attribuirgli l’intento polemico di scansare così la discesa salvifica Berlusconiana promessa il 29 settembre a un manipolo di sindaci locali. Ma no, solo di vacanza trattavasi, ché mica si vive solo di polemica politica e parentado di Sarah Scazzi.
Er Munnezza non ha visto un sacchetto dell’immondizia in tre giorni, pur impegnandosi. Si aspettava qualche felicissima isola ecologica, dove magari le famigliole danesi accorressero sorridenti in bici a depositare profumati quanto ridicolmente minuscoli cestini di munnezza. S’era immaginato fantascientifici tricicli ibridi per la raccolta porta a porta, chessò. Niente. Dopo aver ipotizzato ragionevolmente che i danesi non producono per default ed educazione alcun rifiuto, ha ceduto ad una rabbia vendicativa: cazzo, ora butto una cartaccia in terra, affronto la giusta cazziata di qualche autoctono, mi pento da buon terrone internazionale ma almeno scopro se esistono ‘sti fottuti spazzini danesi.
Non ci crederete (anzi, non credeteci), ma la carta si è scomposta in loco, degradatasi al suolo assieme alla coscienza civica dei napoletani.
Er Munnezza ha dovuto interrompere le sue elucubrazioni alcoliche quando alle otto di sera una pattuglia della Politi danese ha intimato l’alt alla sua bici pubblica gratuita grazie alla quale aveva potuto meravigliosamente girare la città (qui, se volete potete prendervi un quarto d’ora di riflessione…). Stooooop. (da qui segue traduzione più o meno fedele della conversazione). Che gghié? Dov’è la luce sulla sua bicicletta? Mi scusi… quale luce? La luce obbligatoria per poter andare in bici di notte… Non sa che c’è una multa se non la si usa? Oh, mi scusi sono un turista e questa bici è pubblica, che debbo fa’? La posi immediatamente e prosegua a piedi.
Er Munnezza quella sera non ha più pensato alla munnezza di Napoli, alle mamme da rissa di Terzigno, ai buchi nel Vesuvio per infilarci un po’ di merda reflua. Er Munnezza s’è ubriacato tanto e per tutte le successive 12 ore di permanenza danese. Pur di non pensare. Pur di poter affrontare il ritorno in patria salvando un pizzico di sanità mentale. Ricacciando nell’alcol la resa, la repulsa, il rifiuto. Sì, il rifiuto.
PiC

1 commento:

  1. Ma Er Munnezza prima di girare sulla bici pubblica gratuita (erano già là quando feci il mio primo interrail nel 1998 e qui, se vuoi, puoi prenderti anche mezz'ora di riflessione ;) era stato a un convegno di medicina? :)

    In bocca al lupo
    ;)

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