lunedì 14 febbraio 2011

L'UNICO RONALDO POSSIBILE

I due dentoni non avevano quasi mai niente da masticare. Da piccolissimo questuava hamburger al suo primo allenatore, che si chiamava Roberto come quello di Holly e Benji. Segnali, per una generazione cresciuta a pallone e manga. Ronaldo, un giorno, sarebbe diventato il Fenomeno, un cartone animato vivente. Più veloce degli altri, più forte degli altri. Più rotto degli altri. Quando filava veloce in rua General Cesare Obino, nella favela di Bento Ribeiro, a Rio, dribblava la fame e si costruiva una carriera nel dolore. Quando gli aprirono il ginocchio la prima volta, la sentenza fu precisa come un bisturi: "Il ragazzo soffrirà, perché da piccolo non mangiava abbastanza". Avrebbe provato a recuperare, poi. Ma ogni tanto sarebbe stato costretto a deviare la corsa verso la sala operatoria: crack, il legamento. Crack, il tendine. Elastici sottili e rovinati, a lanciare quella Ferrari del dribbling. Eppure ha vinto tutto, ha pianto a dirotto, è quasi morto prima di una finale Mondiale. Ha fatto figli a destra e a manca e poi si è arreso alla sessodipendenza concedendosi una vasectomia liberatoria: "Basta figli, chiudo qui". Ecco, oggi è il triste giorno in cui il Fenomeno panzone si arrende allo specchio e alla vita e dice di nuovo: "Basta, chiudo qui". Ronaldo smette ufficialmente di giocare. Imponendo a tutti di fermarsi, e voltarsi. Perché non smette mica Centofanti, smette il Fenomeno.
Figlio di mamma Sonia, che fa le pulizie al supermercato. E di papà Nelio, alcolizzato che nel '90 molla la famiglia. Lo riabbraccerà dopo la notte in cui Roberto Carlos urlò in un corridoio d'albergo che "Ronaldo è morto", mentre il calciatore più forte del mondo si mimetizzava nel biancore del lenzuolo in preda alle convulsioni. Prima di una finale Mondiale che vincerà Zidane. Un supereroe fragile, di quelli che lo diventano proprio per questo, con tutte le macchie portate come medaglie al valore. Smetterà di fare la pipì a letto solo al Barcellona, per dire. Mentre mangia il mondo come un hambuger. I primi soldi che guadagna li spende per comprare l'apparecchio dei denti. I secondi per un cappotto, perché da brasiliano si presenta nel freddo olandese di Eindhoven con tre felpe l'una sull'altra. Comprato dalla Philips, lui indossa le pile sotto la maglia di lana e segna caterve di gol, prima di cominciare la sua vera carriera in Spagna. E di continuarla in Italia, tra lampi e lacrime, gioie e dolori, vizi e virtù da romanzo popolare. Vince, si rompe e piange. Riuscendo ad unire l'Italia del tifo violento una sera di Coppa Italia nel 2000: Lazio-Inter all'Olimpico, si sente solo un urlo. Stadio in silenzio, mani nei capelli. Altro che "devi morire". No, ancora. Sì, ancora. E' il Fenomeno fragile, destino cinico e baro. Ma lui si rialza sempre, cicatrici manco avesse fatto il Vietnam, e fa in tempo a tornare all'Olimpico, sempre contro la Lazio, per il 5 maggio nerazzurro. Lacrimoni, ancora lacrimoni.
Ma ride pure tanto Ronaldo, la sua maschera coi dentoni larghi finisce su Topolino, e lui ingoia il grande vizio della sua vita: le donne, quasi sempre bionde e vistose. Satiriasi, dicono, sindrome da sesso compulsivo. Chi le ha contate? Suzana Werner, la prima Ronaldinha, Daniella Ciccarelli che provò a sposare in un castello da fiaba ma era una farsa, non valeva, lei era già sposata. Milene Dominguez, la mamma di Ronald, il primo figlio. Fabiola Francois, miss carioca, quella che disse: "Fare l' amore con Ronaldo è come stare a letto con sette scimmioni". E ancora Raica de Oliveira, Fernanda Lima, Mirella Canalda, Vania Millan, miss Spagna, Livia Lemos, Brenda Costa, la bellissima sordomuta. Lista non aggiornata.
Piange, ride, e fa piangere. Di rabbia: Moratti e gli interisti quando lascia l'Inter che lo aveva curato e coccolato per andare al Real Madrid a fare il Gordo, prima del salto mortale al Milan. Ride, piange e fa ridere, quando continua a cambiare look: vince un Mondiale a Yokohama praticamente da solo col ciuffo a mezzaluna. Poi con la ricrescita chimica si fa atteggia coi riccioli. Sorride, e non piange più quando decide di tornare in Brasile a raccattare briciole di carriera per placare una fame di non si sa più cosa. L'atterraggio morbido del Fenomeno, senza più rompersi, con la pancia godereccia e la faccia piena e il pallone sempre più pesante, e lento: "Ormai penso a una giocata e non riesco più a realizzarla come vorrei. E' arrivato il momento di dire basta, ma è comunque stato bellissimo". Sì, è stato bellissimo.

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