lunedì 16 gennaio 2012

IL RIFIUTO

Ho visto la nave salpare. Avevamo tutti le dita pinzate sul naso. Via, al largo la munnezza. Pure se una lunga scia di fetore dovesse unire per sempre Napoli e Rotterdam. Ho letto il mio sindaco, Luigi De Magistris, indurre i suoi cittadini all’esultanza: “Siamo un po’ più liberi”, dice. Riuscendo così a ridurre la questione rifiuti ad un mero atto fisiologico: la defecazione comunale. Zeppi come siamo, ce ne liberiamo. E poi tiriamo il sospiro di sollievo come la catena del water, tutti più leggeri. In questa mefitica gestione del problema è riassunta tutta la trasandatezza amministrativa che ci ha portati ad essere condannati dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La nave Nordstern s’è portata via 1.800 tonnellate di deiezioni, la metà di quanto previsto per problemi burocratico-normativi. Negli stessi giorni l’allontanamento del “virtuoso” presidente di Asia Raphael Rossi è finito in Procura: i pm indagano sui subappalti e le attività dell’azienda speciale per lo smaltimento dei rifiuti, e in particolare sull’assunzione di 23 lavoratori che sarebbe alla base del dissidio tra Rossi e De Magistris. Una balla indifferenziata di schifezze assortite. Che puzza di più perché la nuova gestione doveva essere quella della “rivoluzione arancione”, degli sceriffi al potere. E invece affanniamo dietro alle solite storie, con le solite cure emergenziali. Per esempio il Consiglio dei ministri ha deciso che sarà possibile trasferire i rifiuti trattati (e ammassati) negli ‘Stir’ campani (ex impianti Cdr) fuori dalla Regione, anche senza il consenso delle Regioni interessate. Questo per evitare la multa da 516mila euro al giorno che l’Unione europea potrebbe comminare all’Italia.
Si può essere liberi davvero? Accennare un sorriso? Lasciamo stare i cavilli, e la giurisprudenza, e le manfrine da piccola politica locale. Qui il problema è un altro: è una città che differenzia per quartieri, ma che poi vede marcire i mobili in strada perché nessuno (seppur avvertito con regolare procedura) passa a ritirarli. Che si sforza di raccogliere la carta, e la plastica e l’umido, per poi ritrovarsi a passeggiare tra i sacchetti monocolore aspettando che qualcuno spazzi via il sistema barbaro di raccolta. Che, sommate tutte le difficoltà, è costretta a dar credito ad un sindaco che festeggia la salvifica nave olandese che ci spurga, senza chiedersi perché a quelli di Rotterdam convenga venirsi a prendere la nostra munnezza fin qui. Possibile che nessuno rigurgiti un po’ d’orgoglio, e si lasci andare utopisticamente ad un “prima o poi saremo come l’Olanda”? Qui ci rifiutiamo di vedere, di capire, di andare avanti. Un rifiuto costante.

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